Sono appena uscita dalla scuola in cui do lezioni di italiano e decido di andare al supermercato a piedi, circa quaranta minuti in un quartiere sicuro – anche se nulla è sicuro, qui a Johannesburg.
Quando posso vado a piedi per risparmiare in Uber taxi. In Oman spesso si fermano a darmi un passaggio se mi vedono camminare per strada, e io accetto sempre. Qui è diverso: non si ferma mai nessuno, è un mondo chiuso dentro ai suoi muri di cinta con i fili che, se provi a scavalcarli, ti danno la scossa elettrica,
“Armed response 24/24“.

Eppure accosta una macchina.
E’ un uomo di colore, dietro ci sono un bambino in uniforme scolastica e due donne che mi guardano con sospetto. Con un sorriso mi chiede dove devo andare, gli dico Grant Avenue, dice che passa di là. Gli rispondo “Oggi voglio camminare un po’, grazie lo stesso!” e lui replica “Sicura?” e io: “No”.
Salgo.
Quando mi chiedono se non abbia paura a viaggiare da sola, la mia risposta è sempre la stessa: No.
Nonostante Johannesburg sia la 47esima città più violenta del mondo, io non ho paura. Quando si impara ad ascoltare l’istinto, la prima impressione, non c’è nulla da temere.
Quante cose mi sarei persa, quante occasioni di conoscere persone interessanti avrei mancato, avessi ascoltato la paura e i consigli dei timorosi, anziché il mio cuore?

Apro la portiera e noto che sul sedile accanto all’uomo sta, semi sdraiato, un bambino disabile di circa cinque anni.
“Prendilo in braccio e siediti pure!”.
Lo prendo tra le mie braccia e lo adagio sulle mie gambe, la testa che pende sull’incavo del braccio, lo sguardo perso nel vuoto, la bocca aperta in un sorriso sorpreso. Appoggio il telefono sul cruscotto, ancora aperto su Google Map che mi stava indicando la via.
– Avevi paura a salire, vero?
– Sì, siamo a Johannesburg, sai com’è.
Ma poi l’istinto mi ha detto che mi potevo fidare ed eccomi qui.
– Hai fatto bene. Sempre seguire l’istinto, ti porta lontano.
– In che quartiere abiti?
– Alexandra.
Alexandra.
Una delle aree urbane più povere del Sudafrica, Alexandra è una township. In altri paesi africani le chiamano slum. Baraccopoli.
Per un secondo immagino che invece di portarmi a Grant Street, l’uomo tiri dritto per Alexandra e mi derubi di computer (nuovo) e cellulare (nuovissimo), per poi finirmi con una pistola. Espiro e gli rispondo:
– Sono stata ad Alexandra! E’ un vergogna che il governo non faccia niente per questo quartiere che confina con la parte più ricca della città.
Stupito che fossi stata ad Alex, iniziamo a conversare sulla vita ad Alexandra, sul fatto che sto cercando di sostenere un progetto musicale all’interno della township, gestito da un amico sassofonista sudafricano.
Arriviamo all’angolo del supermercato, è ora di scendere. Apro la portiera, gli metto tra le braccia il bambino addormentato e scendo.
– Hey, è bello incontrare persone così aperte di mente! Grazie per aver accettato il mio passaggio.

Se però scatta subito un campanello d’allarme, ascoltatelo.
Dite no e tirate dritto, non accettate il passaggio, l’invito a cena, l’aperitivo a casa, la notte in hotel. Non date il vostro numero. Non vi voltate.
E’ così anche nelle relazioni: io sono un chiaro esempio di quella che non ascoltò quel campanello che mi diceva “Fuggi! Non iniziare una relazione con quest’uomo, c’è qualcosa che non quadra, è un imbecille!”. Ma io lo misi a tacere e feci di testa mia. E ne venne fuori un patatrac.
E’ bello vivere in libertà, la libertà di non avere pregiudizi, di essere liberi dalla paura, per vivere ogni viaggio con l’apertura mentale necessaria per tornare arricchiti. In viaggio da sole potete reinventarvi: non c’è nessuno che vi conosce, lasciate a casa gli stereotipi. Anche quelli su voi stesse.
La scrittrice Caroline Myss ha detto:
“Vuoi davvero guardarti indietro e vedere quanto sarebbe stato meraviglioso se non avessi avuto paura di vivere?”.
Il passaporto della tua felicità lo porti tu, non il tuo vicino di casa.
Non aspettare la pensione per uscire dal guscio.
Sii forte e fai le cose che gli altri non farebbero.

DA QUALCHE PARTE IN CAMBOGIA
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9 Comments
Sei sempre una grande!
Un abbraccio
M
Grazie Marcus! 😀
Grazie dei consigli 🙂
che post utile!!! 🙂
Hai ragione, il nostro istinto è più importante di quanto crediamo. Ascoltandolo potremmo vivere mille meravigliose esperienze e al tempo stesso salvarci da situazioni poco piacevoli. Il tuo racconto è stato davvero toccante!
Grazie Simona! Io mi sono sempre fidata del mio istinto, sia in viaggio che nelle relazioni con le persone, e quando sono stata coraggiosa e l’ho seguito – la ragione, a volte, inganna – ho sempre vissuto le esperienze più belle.
Qualche anno fa una ragazza parte da MIlano in vespa e con abito da sposa, mossa da questo amore universale di pace e fratellanza, vuole raggiungere il Medio Oriente passando per la Turchia, dove a poco dal confine sud orientale sparisce, verra ritrovata morta dopo la violenza subita, alcuni giorni dopo.
Ciò che uno crede è solo una sua visione della vita e non vuol dire che tutti gli altri la condividano, spesso si vuole proiettare sugli altri ciò che noi vorremmo che, loro fossero, a volte funziona magari spesso, ma non sempre.
Poi ognuno seguirà il suo sentiero apparentemente libero di farlo.
Ciao Massimo, ognuno è libero di scegliere di seguire il proprio istinto, oppure di non seguirlo. Io l’ho sempre seguito, e se qualcosa non mi quadrava, ho sempre cambiato strada. Evidentemente il destino di questa ragazza (di cui conosco la storia) era quello.
Ciao Elizabeth,
Il pianeta è in sofferenza ambientale, destino o opera dell’umanità ?
La vita del singolo non esula dal medesimo comportamento di causa effetto.
La distinzione può essere tra circostanze universali ( terremoto, eruzioni vulcaniche ad esempio ) difficili da controllare e personali , la cui valutazione passa attraverso le esperienze collettive, le conoscenze culturali, anche i dettami religiosi e le vicende storiche , la consapevolezza personale dei propri limiti, risorse queste che aiutano a decidere in maniera la più saggia possibile, non si intende salvezza eterna, ma limitare inutili rischi.
La mente può avere momenti di scarsa lucidità nel corso della vita, regole, leggi naturali o umane in senso lato servono come supporto e aiuto nelle decisioni.
Gli errori di valutazione dove esiste un supporto dell’ambiente sociale, custode di queste conoscenze, vengono limitati e del resto le persone se trovano tutto il conforto di cui hanno bisogno, difficilmente fanno scelte oggettivamente al limite.
Ricordo l’intervista ad una tedesca vissuta fino a 18 anni in un villaggio di Papua Nuova Guinea, con la famiglia il cui padre era pastore protestante, il rientro nella sua nazione fu scioccante, il confronto mostrava come nel villaggio dei “selvaggi” si fosse sempre sentita protetta, parte di una comunità realmente presente, mentre nella “civiltà” la solitudine e l’indifferenza, la violenza e prevaricazione la rattristavano e impaurivano.
Le due civiltà a confronto dicono come l’uomo cambi in base all’ambiente sociale il quale influenza scelte più o meno estreme come forma di compensazione il che può indurre a superare il limite del buon senso o della misura.
La difficoltà maggiore è mantenere una posizione che permetta di capire il senso vero delle cose quando il confine di questo limite avanza inesorabilmente.