Non guardo in faccia nessuno quando si tratta di amare. L’età, il paese di provenienza e il conto in banca sono sempre stati secondari a ciò che per me conta: la sensibilità, la bontà d’animo, e la follia di voler restare accanto a un’espatriata seriale che non riesce a fare promesse più lunghe di una sessione dallo psicologo. Sarà per questo che, quando mi chiedono quanto sia difficile trovare l’amore in viaggio, io rispondo sempre: “Mai avuto problemi a trovare un uomo”. La discriminazione preventiva conduce inevitabilmente alla solitudine: allontanando prima dell’incontro ci si preclude la possibilità di conoscersi, di crescere, e magari di scoprire che, al di là dei pregiudizi, c’è proprio il mondo che stavamo cercando.

Noi che viviamo con la valigia in mano siamo sempre in bilico tra il voler stare da soli e vivere in piena libertà – anche sentimentale -, e il desiderio forte di essere amati. Una volta usciti dalla propria propria zona di comfort, però, amare diventa complicato. Personalmente non ho mai intessuto una relazione d’amore con un altro viaggiatore: negli ostelli del Sud-Est Asiatico ho sempre fatto incontri maschili interessanti dal punto di vista psicologico, ma da starne alla larga dal punto di vista affettivo. Come affermò anni fa un’amica che lavora da anni in quel di Bangkok: “Si riversano più rifiuti della società nel Sud-Est Asiatico che nel resto del mondo”. Era ironica, ma non troppo.
Quando partii per l’anno sabbatico che mi cambiò la vita, nel 2012, avevo una relazione stabile da un anno con il mio (ex) migliore amico di allora. Partii con una valigia piena di sogni, accompagnata dalle parole incoraggianti di mio papà (“I creativi muoiono di fame! Se finirai sotto un ponte non tornare poi a casa perché non ti prendiamo indietro!”), dal muso lungo della gatta e dal sorriso del mio fidanzato, che mi aveva sempre spronata a partire, inseguire i miei sogni ed essere me stessa. Allora non esistevano gli smartphone (una benedizione non averlo avuto, col senno di poi) e ci sentivamo occasionalmente via Skype dal mio laptop oppure, quando ero in Myanmar, da un internet centre con computer preistorici, lenti e polverosi. La relazione a distanza terminò cinque mesi dopo, in una fresca notte di dicembre, quando misi piede nel Sultanato dell’Oman: non finì esattamente in quel momento, ma fu l’inizio della fine.
Come una lucertola che muta la pelle più volte all’anno, man mano che migravo dalla Cambogia alla Cina, e dalla Thailandia al Myanmar, cambiavo pelle, lasciandomi alle spalle quello che non ero più, per lasciare spazio a una persona nuova. Meno di un anno dopo lui era sempre lo stesso, ma io ero cambiata: l’avventuriera che c’era in me uscì in tutto il suo splendore, ma anche in tutte le sue debolezze, e la storia finì. Male, com’era normale che fosse.
Non sono mai stata un’amante del mordi e fuggi: le mie relazioni sono sempre state lunghe e piene d’amore, complicate dai pochi arrivi e le tante partenze, ma sempre longeve e ricche di promesse che non ho saputo mantenere. A parte una parentesi cambogiona quando facevo la volontaria a Phnom Penh, raccontata con minuzia di particolari in un altro post.

La relazione a distanza più bella
Dopo la fine di una lunga e problematica relazione con un ragazzo omanita avevo deciso di restare single per un po’, per ritrovare la sanità mentale perduta. “I nemici sono i tuoi insegnanti”, ci disse il monaco buddhista di origine australiana Lobsang Namgyel durante un ritiro di meditazione in India. Avrei preferito aver avuto un insegnante che non bevesse come una spugna (anche tra i musulmani trovo sempre il migliore) e fosse meno avvezzo alle avventure extra-coniugali, ma questo mi arrivò, e fu la mia fortuna: grazie a questa (dis)avventura entrai in contatto con la meditazione tibetana buddhista che mi regalò serenità, un cuore compassionevole e la capacità di perdonare.
Il suddetto monaco, parlando di relazioni, diede un consiglio potente a chi era appena uscito da una relazione: fare il voto di non iniziare un’altra relazione per sei mesi o un anno, in modo da guarire bene prima di amare di nuovo. Questo ci avrebbe anche aiutati a non vedere l’altro/a come oggetto sessuale, ma come persona. Il voto mi aiutò a guarire, e, si sa, quando i tempi sono maturi, le persone arrivano.
Otto mesi dopo un follower del mio blog che aveva seguito le mie avventure su Facebook mi contattò su messenger. Non uso quasi mai il mio account personale, ma quel giorno – per chissà quale volere del destino – gli diedi corda: ero appena arrivata dall’India, avevo ancora i suoi odori e colori sulla pelle, le spezie, le meditazioni e tutto ciò che ero diventata. Ero l’India, e segretamente sognavo di incontrare l’Indiano Della Mia Vita. Iniziai così a chattare con questo simpatico ragazzo dall’inglese approssimativo che viveva in Oman, finché un giorno gli chiesi: “Di che parte sei, dell’India?”.
Dopo mezzo minuto di silenzio mi arrivò la risposta:
“Sono pachistano”.
Deglutendo come chi sa di stare per fare una pazzia, ma non può in nessun modo fermarsi, gli diedi il mio numero della chat IMO e fissammo un appuntamento per una video-chiamata. Eravamo entrambi consapevoli che per età, cultura e scelte di vita approfondire quella conoscenza fosse un follia. Una mano invisibile, però, condusse la sua nel chiedermi timidamente il mio numero di telefono; la stessa mano guidò la mia nel darglielo.
La mattina seguente, alle ore dieci, io con la mia t-shirt indiana migliore e lui con la camicia e tutto tirato a lucido, vedemmo i nostri visi per la prima volta. Io gli dissi, nel mio urdu stentato: “Aap kasi ho” (Come stai?), lui scoppiò a ridere, io anche, e restammo a guardarci come due ebeti: non sapevamo che quella risata sarebbe stata l’inizio di una romantica storia d’amore che ci avrebbe portati a vivere la relazione – in parte a distanza, in parte a Muscat – più bella e complicata mai vissuta finora da parte di entrambi.
Era il mese di luglio e io ero in Italia. Chi ha una relazione a distanza può facilmente immaginare le ore passate a chattare, a vedersi, a ridere, a cercare di capirsi e anche ad avere discussioni accese. Si inizia a vivere una vita parallela alla propria, quella online, che finisce per assorbirci e farci vivere metà nella realtà e metà nei sogni. Si cerca di rivelare la parte migliore di sé tralasciando i dettagli, quella parte di noi che verrà poi fuori quando ci si vedrà finalmente negli occhi, senza più quello schermo che per tanti mesi si avrebbe voluto oltrepassare.
A ottobre andai in India a seguire un corso di yoga in un ashram di Bangalore, ma il mio cuore era inquieto. Avrei dovuto starci qualche settimana, ma dopo sette giorni decisi che non ne potevo più di aspettare a vederlo e prenotai il primo biglietto per Muscat. Senza dirgli nulla.

L’aereo atterrò a Muscat a notte fonda, andai a dormire, la mattina dopo mi svegliai e come niente fosse gli mandai un messaggio augurandogli il buongiorno:
“Good morning from India!”. Invece ero in Oman.
Alla sera attesi l’ora in cui arrivava a casa da lavorare, lo chiamai e mi disse: “Stiamo preparando da mangiare! Ti chiamo dopo baby”. Ai tempi viveva con altri sei pachistani e ognuno aveva il suo ruolo in casa: chi cucinava, chi faceva il pane, chi lavava i piatti. Lui era l’addetto a preparare il roti, un tipo di pane tipico dell’Asia meridionale. Mi vestii con una gonna lunga fino ai piedi e una maglietta bianca, saltai su un taxi e lo feci fermare vicino a una piccola moschea. Col cuore in gola lo chiamai:
– “Ciao! Esci di casa, sono qui”
– “Scusa?”
– “Sono qui. Vicino a casa tua, anche se non so bene di preciso dove sia”
– “Stai scherzando, vero? Sei in India e mi stai prendendo in giro”
– “No, sono in Oman con un taxista e sono dalle parti di casa tua”
– “Passami il taxista perché non ci credo”
Glielo passai. E scoprì che era tutto vero: ero lì, a due passi da lui. Gli disse di andare alla stazione di benzina lì vicino, dove lo aspettai in macchina finché non mi arrivò un messaggio: “Sono qui”.
Il mio cuore batteva all’impazzata. Il suo cuore anche. Lui guardava in un’altra direzione. Io gli andai incontro. Alzò lo sguardo ed ero lì, a due passi da lui. Senza schermo. Eravamo lì, lui con la barba lunga e una maglietta infilata di fortuna, io con i capelli al vento e la gonna storta. Scoppiammo a ridere: non era l’Indiano Della Mia Vita, ma il suo sorriso era il più bianco e luminoso che avessi mai visto.
Oggi siamo ancora qui, tra “Basta non ti sopporto più, sei un testardo della miseria!”, “Sei più talebana di un pachistano di Peshawar!”, “Va bene, ti sposo”, “No, siamo troppo diversi”, “Basta lasciamoci”, “Riproviamoci che tanto non riusciamo a stare separati”, “Che stress stare con una blogger!”, “Che noia stare con uno che mangia solo piccante!”, “Scusami, ho sbagliato”, “Scusami, ho sbagliato anch’io”.
Le relazioni a distanza sono una faccenda delicata: come le altre, si costruiscono sul rispetto e sull’ospitalità nel proprio cuore, ma col rischio che, senza guardarsi negli occhi per troppo tempo, le tensioni si trasformino in tragedia perché non ci si capisce più. Si diventa una cornetta del telefono. Ma è l’umiltà di chiedere scusa da parte di entrambi, il desiderio di voler crescere insieme che tiene unita una coppia.
A causa delle differenze culturali siamo chiamati a dare un supplemento di amore e di comprensione, il che non è sempre facile. Se poi ci si mette la differenza di età, le difficoltà raddoppiano.
Chi ama davvero non guarda in faccia i razzisti, gli invidiosi o i pettegoli
Il suo unico metro di giudizio sono l’istinto e il proprio cuore. Chi si trattiene, in amore, è incapace di vivere pienamente e teme l’intimità. L’unico antidoto è lasciarsi un po’ andare. Daria Bignardi, in occasione della scomparsa del conduttore Fabrizio Frizzi, riferendosi all’amore che lo legava alla moglie, più giovane di lui di venticinque anni, disse:
Io ho sempre vissuto l’amore così: fregandomene di ciò che pensavano gli altri. Questo mi ha sempre permesso di vivere storie che mi hanno aiutata a crescere, confrontarmi e diventare creativa, ad andare oltre i pregiudizi e conoscere culture e persone che mi hanno aperto la mente e fatta sentire viva.
Non so se questa relazione andrà avanti, se durerà molti anni ancora o se finirà, ma, nonostante le difficoltà, non sono pentita di aver preso quel taxi, quella sera di ottobre; questa è la mia vita, e ho sempre deciso di viverla così, giorno per giorno e con passione, perché questa sono io. Questa è la mia natura.
Oggi si festeggiano gli innamorati: che si possa avere sempre la libertà di amare senza freni, e di essere amati da una persona così libera da amarci senza riserve e senza paure.
9 Comments
Eli, mi tocca il cuore questo tuo post. Come ti scrissi tempo fa ironicamente nella tua pagina facebook, è anche “colpa” tua se ho scelto di mollare il posto fisso dopo 22 anni. Ti scrissi dalla Tailandia, dovevo rientrare in Italia dopo l’aspettativa, e mi era venuta quella che il mio medico chiama “pipì nervosa” 😀 Alcune persone esternano lo stress andando in bagno ogni 5 minuti per giorni… e no, non è la cistite. Dalla conversazione che ho avuto con te quella notte, mille cose sono cambiate ma sei stata un faro nella notte e te ne sarò eternamente grata. Ok, non ci conosciamo, ma hai un dono, non lo perdere mai.
Vivo ormai in India, i miei genitori si sono rassegnati ed ho da più di due anni il (famoso) fidanzato indiano…. Avevo chiuso dentro di me con le relazioni, volevo solo fare l’expat ed essere libera di decidere giorno per giorno, poi l’amicizia si è trasformata. Non so quanto durerà, difficoltà giganti, ma siamo qui ed oggi, per San Valentino, mi ha regalato una pizza alla pancettai ed una teglia di lasagne :-)))) Lavora tipo 15 ore al giorno ma ha trovato il tempo di farmeli recapitare a casa. Ti giuro che ho pianto, sono cose che non mangio mai e sono i miei piatti preferiti. Sono felice ora ed oggi ed hai influito tanto anche tu nell’accompagnarmi verso la libertà. Grazie Eli <3
Ciao Alessandra, mi prendo volentieri la colpa del tuo cambio vita 😉
Che bel gesto ti ha fatto il tuo compagno, e immagino le difficoltà e i sacrifici di entrambi.
Cambiare vita non è mai cosa facile, mantenere la propria libertà ha un prezzo, un prezzo che io pago volentieri e penso anche tu. In quale parte dell’India sei? Vorrei andare in India a breve per i miei corsi di meditazione, chissà, magari le nostre strade si incrociano da qualche parte e ci beviamo un masala chai insieme. Ti abbraccio forte e buona strada!
Magari, sarebbe bellissimo! Sono a Goa, lui lavora a Vagator. Prova a cercare tra Mandrem ed Arambol, pare ci siano ottime scuole, così siamo vicine e ti vengo a trovare :-)))
Buona strada Eli!
Grazie del suggerimento ma io faccio i ritiri di meditazione al Tushita Centre di Dharamshala, ad eccezione dei Vipassana che non ho mai fatto in India, però. Quindi purtroppo sarò molto lontana da Goa. Dovessi però venire da quelle parti te lo faccio sapere senz’altro.
Alessandra la tua storia bellissima commovente almeno quanto quella di Elisabeth
Ciao Giordana, grazie!
Grazie Giordana! 🙂
Comunque vada, ogni storia d’amore merita di essere vissuta in pieno!
Ciao Paola, sì, io credo che un amore non vissuto sia sempre una perdita e un rimpianto.