Ero in Oman e mi ero svegliata con un senso di oppressione al petto, come un mattone che mi premeva sul cuore.
La sera prima, alle ore undici del venti gennaio, avevo preso una decisione che mi avrebbe cambiato la vita per sempre. Avevo deciso che non sarei più tornata a scuola, e che avrei continuato la mia – seppur incerta – strada senza più quella rete di sicurezza che mi aveva accompagnata fino a quel momento: il posto fisso.
A nulla valse una passeggiata in riva al mare. Era una giornata ventosa, il mare increspato che si sbatteva con impeto sulla spiaggia non faceva che accrescere quel senso di oppressione. Che avessi preso la decisione sbagliata? Di solito dopo aver preso una decisione importante stavo sempre benissimo, perché mi ero in qualche modo liberata dal peso di scegliere. Forse avevo sbagliato tutto, e sarebbe stata la prima volta che sbagliavo seguendo il cuore e il mio istinto.
Nel tardo pomeriggio mi arrivò un messaggio: “Papà è in ospedale. Ti spiego poi.”
Il mattone sul petto divenne un macigno, quasi non riuscivo più a respirare. Finalmente capii: quel senso di oppressione era un presagio. Come tante altre volte, anche in questa occasione avevo sentito a distanza che qualcosa di brutto stava accadendo.
L’ultima volta che ero tornata a casa era stata alla fine di novembre.
Mia mamma si era rotta il malleolo inciampando in un parcheggio e io, che in quel periodo non avevo tour dell’Oman da guidare, avevo deciso di tornare a casa a darle il mio sostegno. Già allora, però, avvertii che c’era qualcosa che non andava in mio papà: aveva spesso mal di testa, poche energie, appoggiava spesso la testa sul tavolo, e aveva perso appetito, lui che mangiava sempre come un lupo. Quando ripartii, il giorno di Natale, sentii una stretta al cuore: c’era qualcosa che mi sfuggiva, mi sembrava di strappare qualcosa, di dover restare invece che partire.
Infine partii, con la stessa stretta al petto che venne a trovarmi un mese dopo.
Quando una figlia (o una sorella) vive lontano, si tende a nascondere alcune cose per non farla preoccupare. Però io, fautrice della verità a tutti i costi e testarda come pochi, quel pomeriggio di gennaio tempestai mia sorella di domande: “Parla con il primario! Devono dirci con precisione cos’ha! Non è possibile che non ti dicano niente! Insisti! Dammi il numero, gli parlo io a quello là!”.
A quel punto, sfinita, mi mandò la foto del referto.
Una notte di lacrime mi accompagnò fino alla mattina, quando, gonfia e in preda a un attacco di panico, dovetti mio malgrado preparare di nuovo la valigia: un nuovo lavoro mi stava aspettando in Sudafrica, e io avevo l’aereo prenotato per la sera seguente.
Mi misi sull’autobus che mi portava da Muscat a Dubai con lo zaino, il trolley e il macigno. I controlli al confine con gli Emirati Arabi Uniti furono serrati: una donna con guanti usa e getta mi controllò ogni singola tasca, contenitore, zip e botticino. Non mi lasciarono entrare negli Emirati finché non furono sicuri che quelle capsule fossero davvero fermati lattici, poi con un sorriso mi resero la mia borsa (nella quale sembrava fosse entrato un piccolo tsunami) e risalii sull’autobus.
Trascorsi il pomeriggio e la serata a casa di un’amica russa avvocato a Dubai, conosciuta l’anno precedente in India durante un ritiro di meditazione, e infine, a mezzanotte, mi imbarcai sull’aereo che mi avrebbe portata a Johannesburg, dov’ero rinata un anno prima.
All’inizio di una nuova vita si è sempre pervasi da un forte senso di felicità mista a paura mista a curiosità.
Possibile che, invece, questa volta non provassi niente?
Quando l’addetto al controllo passaporti appose il timbro sudafricano d’entrata vicino al mio visto di lavoro di cinque anni, rimasi indifferente. Come se fossi atterrata a Roma, o forse a Cuneo.
Il perché lo capii poco dopo, quando, in macchina con la (splendida) signora Alida che mi aveva scelta per insegnare italiano presso l’Istituto di Cultura, ebbi un altro sussulto al cuore: non era più quello che volevo.
Un anno fa ero un’altra. Oggi ero diversa.
E dovevo proprio rimettere piede in terra sudafricana per rendermene conto.
Ma io – lo sapete – mi fido del destino, e il destino fece ciò che andava fatto: le condizioni di salute di mio papà erano abbastanza gravi, mia mamma stava andando nel panico e io, così lontana, fremevo. Volevo tornare a casa. Volevo stare vicino a mio papà.
Chi mi aveva messo al mondo stava male, e io non potevo più aspettare oltre. Confinata per due settimane in un cottage in affitto (che avevo già pagato per un mese), passai diverse notti insonni compiendo ricerche su internet su come aiutare mio papà a guarire. Perché io non mi arrendo: io combatto. Mio papà, che era stato un capo, un sindaco e anche un contadino, era forte. Non poteva andarsene così.
Si sarebbe dovuto fare tutto il possibile per salvarlo.
E se ciò non sarebbe stato possibile, io comunque dovevo essere là.
– “Papà, come stai? Guarda che devi tornare a casa presto, c’è la gatta che ti aspetta!”
– “Non so se la gatta stia aspettando che arrivi prima io o prima tu.”
La seconda settimana di febbraio comunicai alla scuola che sarei tornata in Italia. La signora Alida me lo disse fin dal primo giorno: “Tu inizia, ma se poi vedi che devi andare, vai. La famiglia è più importante di tutto.”
Quando partii per l’Italia, subito al di là del controllo passaporti c’erano delle ragazze che danzavano danze africane al suono di una musica fortissima. Non sapevo se ridere o piangere, consapevole del fatto che la vita continua, che se accetti la vita accetti anche la morte, che ci può essere gioia anche nel dolore, perché, come scrisse Tiziano Terzani,
“La fine è il mio inizio.
Una strada c’è nella vita, e la cosa buffa è che te ne accorgi solo quando è finita.
Ti volti indietro e dici “Oh, ma guarda, c’è un filo!”. Quando vivi, non lo vedi il filo, eppure c’è.
Perché tutte le decisioni che prendi, tutte le scelte che fai sono determinate, tu credi, dal tuo libero arbitrio, ma anche questa è una balla.
Sono determinate da qualcosa dentro di te che innanzitutto è il tuo istinto, e poi forse da qualcosa che i tuoi amici indiani chiamano il karma con cui spiegano tutto, anche ciò che a noi è inspiegabile.”
Al duty free di Abu Dhabi, come ogni volta, comprai la frutta secca per mio papà, di cui è molto goloso. Ingerii le lacrime mentre il ragazzo alla cassa mi prendeva la carta di credito dalle mani: Papà, resisti, fa’ che non sia l’ultima volta che ti compro queste noci, queste mandorle, questa frutta che ti piace tanto.
.
Sono le otto di sera; nella penombra del corridoio sto scrutando mia mamma che, con mio papà sottobraccio, lo sta accompagnando a letto. Lui è un po’ curvo, dimagrito, stanco. Lei, più curva di lui, porta il peso della malattia improvvisa di lui sulla schiena. Tutti e due col passo incerto, li osservo entrare in camera da letto. Un raggio del sole che tramonta illumina i capelli biondi di lei; un altro, più lieve, illumina i capelli grigi di lui.
“Ti ricordi quando ci siamo sposati, che avevamo detto “Nella gioia e nel dolore?”. Siamo stati insieme nella gioia, e siamo insieme anche nel dolore. Ci sono io, non sei solo. Passeremo anche questo.”
“Betta, quando guarisco voglio venire in Oman e anche a Dubai. Bisogna preparare i passaporti!”
Non lo so se guarirai. Però potresti scoprire che sai volare, e allora sì che verrai in Oman con me.
Ti aspetto, papà.

Al ritorno dall’India, dopo un anno in viaggio
Il dolore ti può cambiare, ma non significa che dev’essere un brutto cambiamento.
Prendi quel dolore e trasformalo in saggezza.
35 Comments
La tua storia accomuna tante persone, il parlarne aiuta e ci fa sentire tutti più vicini. Alla fine siamo tutti un’unica cosa…sper che il tuo papà migliori e guarisca. E che tua madre sia forte in questo momento. Non ti conosco, ma riesci a trasmettermi qualcosa che sa emozionarmi. Ti abbraccio virtualmente.
Ciao Laura,
grazie! Speriamo, sì, che mia mamma regga lo stress di questi giorni (ha 78 anni, è di acciaio ma non troppo) e che mio papà viva il più a lungo possibile. Ricambio l’abbraccio 🙂
Anch’io sto vivendo una situazione simile, cara Eli. Non è facile vedere che chi ti ha messo al mondo ora fa fatica a viverci… Ti sono vicino…
Mi spiace, Paco! Questa situazione non la auguro a nessuno.
Ti sono vicina anch’io.
Un abbraccio!
Ti seguo da un po’. Leggo l’evoluzione della tua coscienza ed è in qualche modo gratificante, ma non so se è la parola giusta. Grazie anche di condividere gli affetti privati.Un abbraccio.
Ciao Paolo, grazie a te per le belle parole. Un abbraccio anche a te 🙂
A fine febbraio all’una di notte ho assistito all’ultimo respiro di mia madre ero li in attesa da un paio di giorni.
A parte la tristezza della morte mi ha fatto piacere esserci vederla che attraversava il confine mentre ascoltavo con il fonendo il cuore che si fermava e lei che dopo giorni di sofferenza assumeva un volto disteso. Non so se sia giusto o doveroso esserci ma certo se ci sei li in silenzio puoi dire a te stesso di aver dato qualcosa ,una specie di ciclo che si chiude .
Claudio, mi spiace per tua mamma. Dev’essere stato un momento molto doloroso. Io, tornando, ho seguito il cuore: non riuscivo proprio a stare a Johannesburg sapendo che mio papà doveva lottare. Poiché potevo, sono tornata. Non so quanto ancora mi fermerò, ma l’essere stata qui fino adesso mi fa sentire in pace con me stessa.
Ci fai stare sulle spine… come sta ora il tuo papà?
Un abbraccio e spero di riuscire a vederci per un caffè prima o poi, somewhere…
Ciao
Tiziana
Ciao Tiziana! La situazione adesso è stazionaria, non è più in ospedale ma non si alza. Vedremo.
Io sono a Torino, quando vuoi e quando posso…
Un abbraccio
Un abbraccio forte.
Grazie Daniela!
Storia molto toccante e dal tuo racconto ho sentito un energia molto positiva che sta dentro di te e che dà forza a tante persone sopratutto a tuo padre ,si capisce e si vede dalle foto che sei una donna forte e positiva . ? Namastè
Namaste Erol! Grazie per le belle parole. Sí, cerco sempre di essere positiva, fa parte della mia personalità, anche in questo momento difficilissimo.
Cara Eli, non c’è molto da dire che non sia banale, ma sento che hai dentro di te le risorse giuste per affrontare quello che la vita ti presenta. Faccio tanti auguri al tuo papà e alla famiglia che lo ama e lo sostiene. Sarete nei miei pensieri. 🙂
Ciao Grazia, sì, credo che se non avessi fatto un percorso spirituale di un certo spessore, sarei già caduta in depressione.
Grazie di cuore 🙂
Ciao Eli. ……….ti leggo sempre x mi fai star bene. ……ho letto la tua storia adesso del tuo papà. ……che dirti come ha detto in precedenza non ricordo il nome. ……sei forte eccome lo sei. …….io credo e ne son convinta che si riprenderà. ……la tua mamma c’è la farà x entrambi si daranno forza. ….e tu la dai a loro. ……..son con voi. …….un abbraccio
Grazie Mary per le tue parole di incoraggiamento. Ti abbraccio!
Cara Elizabeth, sono finita sul tuo blog per caso oggi. Da due mesi mio marito sta affrontando una seria malattia, la nostra vita è cambiata. Ci piaceva viaggiare e sono anch’io un’insegnante…So quello che provi. Ogni cosa però può ribaltarsi anche favorevolemte, aiuta tuo papà in questo momento della vita, un viaggio anch’essa se ci pensi. Ora ti seguirò sempre. Damiana
Ciao Damiana,
mi spiace molto per la malattia di tuo marito: lottate, che c’è sempre la speranza di una guarigione. Concordo, anche questo è un viaggio. Ti sono vicina col pensiero e auguro a tuo marito una veloce guarigione!
E comprendo bene quando dici che hai sentito a distanza qualcosa che non andava. Quel presagio io l’ho avuto diverse volte, anche sotto forma di sogno. E quelle forti sensazioni che ci legano a chi amiamo vanno oltre il tempo e lo spazio…pensa che ora ho paura di sentire quegli “avvertimenti” perché puntualmente si sono avverati. Aspettiamo notizie di tuo papà.
Ho visto ora su Facebook, ti sono tanto vicina Elizabeth, eri con lui all’inizio del suo viaggio….Non la fine ma un altro inizio. Un giorno vi ritroverete e dentro di te lo sai. Ho perso mia mamma e capisco quello che provi. Quando ti sentì afflitta pensa a come lui vorrebbe che tu affrontassi questo momento e troverai la forza di rialzarti. Un bacio.
Ciao Damiana, grazie per le tue parole. Ci ho messo un bel po’ a superare la perdita di mio papà, è stata durissima e solo ora inizio a rivedere pian piano la luce. Ora lo sento vicino a me più che mai.
Grazie ancora e ti abbraccio! Spero che tuo marito stia meglio.
ciao, sarà quel che sarà l’amore che provi per tuo padre non si misura in distanze ed il tuo essere ripartita è stato il compimento dell’essere tornata a Torino. Fondamentalmente siamo tutti interconnessi ma credo che questa esperienza terrena vada fatta in solitaria……come essere in un grande castello con tante stanze insieme a tantissima gente, ma da ogni singola porta si passa uno per volta…….mi piace Tiziano Terzani e continuo a leggerti con molto interesse……tutti i colori sono indispensabili…….grazie per ciò che sei.
Grazie per le bellissime parole Massimo! Nel mentre mio papà a luglio è mancato, ma lo sento vicinissimo adesso.
Sì, l’amore non si misura in distanze, molto bello questo tuo pensiero.
Un abbraccio!
Ciao Ely, leggo solo ora. Mi dispiace tanto per tuo padre.
Capisco che non potevi stare lontano, nemmeno io l’avrei fatto.
Un abbraccio forte e tanta energia positiva
Grazie! Solo ora ne sto uscendo pian piano. Ricambio l’abbraccio di cuore
Mi dispiace tanto per la tua perdita, anche se tuo padre non lo perderai mai. Un abbraccio forte a te e alla tua famiglia.
………..ho letto anche io ora. ………..non ho parole Ely. …………ti son vicina con cuore e mente. ………mi dispiace tantissimo. …………
Grazie Mary e Grazia!
Ciao Eli, ho letto solo ora. Sono profondamente costernato per la tua perdita. Le persone non sono eterne, ma la loro presenza lo è. Ti sono vicino e ti abbraccio forte. Coraggio, sempre!
Grazie per le tue parole Gianluca! Sì è vero, la loro presenza è per sempre e io sento mio papà molto vicino adesso. Una bella sensazione, anche se il dolore è stato immenso e non l’ho ancora superato.
Un abbraccio, che ti giunga ovunque tu sia!
Anch’io sto vivendo una situazione simile. Grazie anche di condividere gli affetti privati.Un abbraccio.
Ciao Paola, mi spiace tanto! Ti abbraccio anch’io e… forza.
La frase di Seneca “ricordati che devi morire ” sembra pessimista.
In realtà incarna molto la vita stessa ed è molto simile a “Carpe diem “.
Non quello dei piaceri fini a se stessi ma il carpe diem personale , fatto a volte di successi o di realizzazioni mancate in cui si interpreta liberamente se stesso/a .