Avete notato? Quando si parte, di solito è tutto un entusiasmo unico, un camminare per aria, un “Ah come sto bene! Oh come mi sento libero! Mamma mia come mi sembrano diversi i miei problemi, quando sono lontano da casa!”. E poi, dopo qualche giorno o settimana, ecco che ciò che siamo veramente viene fuori con la forza di un vulcano. Basta una arrabbiatura di poco conto, una cosa che non va come ci aspettavamo, una certa paura, ed ecco che le nostre nevrosi vengono fuori a una a una. Mica pensavate che quel fardello rimanesse a casa sereno, aspettando il nostro ritorno. Ciò che siamo ci segue ovunque, anche in Nepal. E prima o poi dobbiamo fare i conti con la parte peggiore di noi. Quella che nascondiamo a tutti, ma non possiamo occultare a noi stessi.
Vi faccio un esempio. In questi giorni sono al Kopan Monastery di Kathmandu, un monastero buddhista tibetano. Sono otto giorni che sono qua, e l’ultima cosa simpatica che ho visto è un uomo sulla quarantina, inglese, alto, peloso e con gli occhiali più spessi che abbia mai visto, vestito come un occidentale in ricerca spirituale in India, che quando passa fa finta di non vedermi. Ci salutiamo tutti, qui, anche se non ci conosciamo. Lui no. Sua Maestà saluta solo chi ha deciso di selezionare, ovvero chi ha fatto il corso di introduzione al buddhismo insieme a lui qualche tempo fa. Gli altri? Non sono degni del suo (miope) sguardo.
L’altra mattina mi è passato di fianco e guardava per terra mentre entravamo nel refettorio a fare colazione. Ha preparato il suo pane e burro di arachidi, ha salutato un ragazza che si stava preparando una tazza di tè e si è andato a sedere nella terrazza. Io all’inizio mi sono sentita offesa da questo comportamento che continuava da giorni, e mi sono anche posta la domanda se fossi per caso un essere con qualcosa che non va.
Perché è così: quando qualcuno ti evita, anche se sei circondato da persone con cui stai bene e che ti apprezzano, pensi sempre al perché quella certa persona faccia invece finta di non vederti.
Poi mi sono ricordata di ciò che mi hanno insegnato al corso di introduzione al buddhismo frequentato lo scorso agosto in India:
Perché non sappiamo quali problemi quella persona si stia portando dietro. Proviamo compassione, e lasciamolo andare per la sua strada.
Mi è capitato che qualcuno mi scrivesse: “Sono in crisi con me stessa, mi sento depressa, non sono mai felice. Per questo voglio fare un’esperienza di volontariato. A chi mi consigli di rivolgermi?”. A uno specialista. Che ti aiuti a risolvere questa depressione latente, per poi partire almeno un po’ serena.
Almeno un po’. Perché non si può risolvere tutto quanto e rinascere prima di una partenza. Ma almeno capire il perché di certe ansie, questo è fondamentale. Altrimenti vi ritroverete in una missione o in una squallida guesthouse da qualche parte del mondo, soli con voi stessi, e per scappare farete un biglietto per tornare a casa. Dove ricomincerà tutto da capo.
Io sono partita con i miei attacchi di panico e tutto. Ma prima ho fatto un lavoro su me stessa per qualche mese, per capirne le cause. Qualche attacco ancora mi prende, in viaggio, ma li so gestire. Così come sto imparando (a fatica, certo) a gestire il risentimento, l’aggressività, la rabbia. Altrimenti ci si sfogherà sugli altri con atteggiamenti arroganti come l’amico miope sta tenendo qui nel monastero. Atteggiamenti che ti portano a essere solo. Infatti a colazione mangia da solo al tavolo in terrazza, mentre gli altri – me compresa – mangiano insieme chiacchierando delle nostre vite scapestrate.
Nessuno ne è immune, in viaggio. A me era capitato più quindici anni fa, in Kosovo: tenevo atteggiamenti arroganti perché mancavo di equilibrio interiore. Circondata da tante persone che, come me, scappavano da se stesse e andavano a lavorare nella cooperazione internazionale, ne venne fuori un bel casino.
L’altro giorno ero in questa guesthouse di Kathmandu, e ho passato una domenica senza luce a combattere contro i miei soliti fantasmi. I fantasmi che di solito prendono un po’ tutti quelli che partono per un viaggio da soli, nel momento in cui rimangono soli davvero. In quei casi bisogna reagire. Cercare un luogo in linea a come ci sentiamo in quel momento. Bisogna aprire internet e cercare: un’associazione di donne espatriate, un gruppo che si incontra in quella città, un luogo spirituale in cui poter parlare con qualcuno.
E così la mattina dopo sono arrivata al Kopan Monastery, legato al Tushita Centre di Dharamshala dove feci la mia prima meditazione buddhista mahayana due mesi fa.
Mi sono seduta nella Gompa, e Ani Karen, una suora buddhista, ha cominciato a parlare:
“Quando cominciamo a meditare, la parte negativa della nostra mente, così come le emozioni negative, escono allo scoperto. Quando siamo in casa, cerchiamo di distrarci per non ascoltarci: chiamiamo gli amici, guardiamo la televisione, accendiamo la radio.
Ma quando siamo in un ritiro spirituale, siamo bloccati lì. E così siamo obbligati ad andare avanti.
Durante un ritiro silenzioso di meditazione, quando le emozioni negative ci assalgono, ci vengono dati gli insegnamenti e gli strumenti per superarli.
Ci si deve concentrare sul non attaccamento alle cose, sulla loro impermanenza: tutto passa. Niente è per sempre.
Le cose non sono mai le stesse man mano che passano i giorni: alcune mattine ci svegliamo arrabbiati, altre nervosi, sembra che niente funzioni e niente vada come vorremmo. Altre mattine, invece, ci svegliamo e ci sentiamo bene, siamo felici, amiamo tutti.
Ma è solo un sottile cambiamento della mente.
Durante la meditazione affrontiamo la parte peggiore di noi stessi, ed è da lì che bisogna partire: lavorando sulla nostra parte peggiore – ad esempio la nostra facilità ad adirarci – lavorarci su, meditare sulla realtà dei fatti, su ciò che accade davvero nel momento in cui diamo in escandescenza.
Non è solo compassione per le persone che amiamo e per noi stessi. E’ l’avere compassione per tutti e per tutto l’universo, per i nostri nemici e gli sconosciuti, per gli animali e tutte le creature.
L’attaccamento e la possessività ci controllano. La collera ci controlla completamente. Quando urliamo a qualcuno, di solito il giorno dopo ci vergogniamo di ciò che abbiamo detto e come lo abbiamo detto. La collera distrugge le nostre relazioni. “Perché ho detto questo!”. E cambiamo strada quando vediamo la persona verso cui abbiamo riversato la nostra rabbia.
Non sarete mai felici stando in una prigione. Anche se ci sono persone che non vogliono lasciare la loro prigione, dopo venticinque e più anni di prigione non credono che ci possa essere vita là fuori. Ma ogni nostro pensiero negativo è solo una abitudine. E’ uno stato d’animo negativo che non ci fa immaginare la nostra liberazione. E’ così lontano dalla nostra immaginazione che non possiamo credere che possiamo essere liberi.
Noi siamo generatori di abitudini. Uscire dal Samsara non significa rinunciare agli amici, ai vestiti, al computer, al telefono cellulare. Anche i monaci ce l’hanno, quindi rilassatevi. Samsara sono l’attaccamento incontrollato, l’ira, i pensieri negativi, i proprio limiti personali.
Distaccarsi da essi non significa dire “Me ne frego”. Significa semplicemente “Non attaccamento”, non possessività.
Vi dovete abituare alla meditazione: fare un solo ritiro non è abbastanza. Perché quando tornate a casa è facile che cominciate a trovare mille scuse (non ho tempo, lo faccio domani, stamattina voglio dormire…) e non lo fate più.
Tutti i giorni ci svegliamo con nuovi progetti, nuovi desideri. Ma sono limitati, sono legati solo al piacere. Vogliamo sempre sentirci dire quanto siamo buoni, quanto siamo belli. E con questi pensieri inquiniamo la nostra mente.
Non possiamo trovare la felicità nel mondo esterno: è effimera. La felicità ce l’abbiamo dentro. E più siamo felici, più la vogliamo condividere con gli altri.
Ma prima di tutto
Meditazione significa cercare di conoscere la nostra mente.
Nel buddhismo tibetano Mahayana non basta utilizzare solo la respirazione per stare nel momento presente. C’è anche una fase successiva, che è la meditazione analitica: cercare di conoscere la propria mente.
Ci si concentra su amore, morte, collera, gelosia, e si arriva a capire perché reagiamo sempre in un centro modo, e come invece possiamo reagire molto meglio in modo che le cose esterne non ci facciano soffrire in un certo modo.
In poche parole, dobbiamo guardare ai rifiuti di cui è piena la nostra mente. E liberarcene.
La rabbia è un’abitudine, la gelosia è un’abitudine come fumare o bere. Ma si può cambiare.
Attraverso la meditazione riabituiamo la nostra mente. Ci facciamo un lavaggio della mente. Ma non e la fa nessuno dall’esterno, com’è il lavaggio del cervello: ce lo facciamo da soli. Nel buddhismo il “Mind-washing” è ciò che facciamo a noi stessi per liberarci dei rifiuti presente nella nostra mente.
Non volete vivere con dei rimpianti, no? Bene. Non rimandate. Cominciate la meditazione oggi. Non domani.”
Mentre parlava il mio cuore era tutto sottosopra quando, dopo aver saputo che avevo già fatto un primo corso di introduzione alla meditazione buddhista tibetana, mi ha guardata e davanti a tutti ha detto: “Perché non ti trasferisci qui otto giorni e continui la tua meditazione? Una volta sola non basta, bisogna continuare.”
L’indomani mattina ho rifatto lo zaino e mi sono trasferita qui.
Ho sceso le scale della guesthouse facendomi largo tra i resti dei backpacker: qualche canna spenta, svariate bottiglie di alcohol e buste varie. Il taxi è venuto a prendermi stamattina puntuale alle 8.30, per poi infilarsi in quartieri poverissimi dalle strade tutte a buche, e inerpicarsi su per la collina facendomi sobbalzare l’omelette mista al toast nello stomaco, e battere un paio di craniate sul finestrino.
Si è aperto il cancello e ho fatto il mio ingresso al monastero con un bernoccolo sulla testa e la sensazione che stavo per fare la cosa giusta. L’ho capito perché ero felice.
Ani Karen mi è venuta incontro: “Allora sei tornata!”. I baby monks stavano facendo la ricreazione mentre venivo accompagnata nella mia stanza. Un paio di uccellini e un gatto bianco mi hanno osservata entrare serafica in quello che sarà il mio rifugio per i prossimi otto giorni.
E domani mattina, dopo otto giorni di quiete e di su e giù dal monastero allo studio in cui ho insegnato yoga, inizio un altro corso, un altro ritiro, lo stesso che avevo fatto al Tushita Centre. Perché ho bisogno di interiorizzare questa straordinaria pratica meditativa prima di ributtarmi nel mondo.
E pazienza se il Miope dovrà ancora sopportarmi per un po’ da queste parti. In fondo, se non vede bene è perché qualcosa gli dà fastidio al cuore.
“Considerare benvenute le situazioni difficili della vita è una delle pratiche più potenti della trasformazione del pensiero.” – Lama Zopa Rinpoche
25 Comments
Bell’articolo!
Solitamente a me la parte peggiore mi s’insinua prima della partenza: tutta una nevrosi! poi arrivo e il mondo si placa…ma non finisce qui! Quello da cui mi ero distratta, ritorna dopo un po’ di tempo!
Non ci si scrolla di dosso certe cose solo perché ci si distrae! hai ragione!
Ma come si fa ad iniziare meditazione in Italia? Si può iniziare by yourself?
Ciao Martina!
Ora non riesco a cercare i link giusti, ma cerca su google il centro in cui si fa Meditazione Vipassana in Italia, e anche la meditazione tibetana mahayaha (credo che ci sia anche quest’ultima, poi cerco tra dieci giorni con una connessione decente). Certo che puoi inizizare by yourself, soprattutto la vipassana, per iniziare. Cerca il libro di Sharon Salzberg “L’arte ricoluzionaria della gioia” (mi pare sia così in Italiano, io l’ho letto in inglese) e poi su youtube digita “Sharon Sakzberg metta meditation lovingkindness” e “Sharon salzberg vipassana meditation”, se sai l’inglese. Li scarichi, li metti sulle cuffiette e le fai la mattina e la sera 🙂
farò tesoro di queste tue parole. alcuni step li ho compiuti da sola e sento di essere serena infatti.
detto ciò…
attacchi di panico.
e sei da sola.
in Nepal.
sei un mito.
tutto si può fare, grazie del tuo esempio (anche io ogni tanto ne soffro).
Ciao Lauryn grazie delle tue parole!
Sì anchegli attacchi di panico si possono superare, se sai come farlo e trovi il modo di ascoltarti per davvero. Parla una che ne ha avuto uno pochi giorni fa, ma sono ancora qui viva e vegeta e pronta per imbarcarmi di nuovo per l’India.
Ti abbraccio fortissimo!
Dall’esposizione traspare la tua vita. Tribolata, elegante e sincera.
Ho come la sensazione che hai preso il portone giusto.
Il miope guarirà, il cieco…ahimè.
Ciao Paolo! Sì, nel portone ho sbattuto la testa ma ora sto rinsavendo, proprio perché mi sa era quello giusto.
Un abbraccio grande! Ti saluto il miope 🙂
Penso che riguardo al miope esageri un po’.Cioè non puoi pensare che tutti abbiano con te lo stesso atteggiamento, perché ritieni cosi importante il suo saluto, la sua approvazione? Hai provato a parlargli? Al mondo troveremo sempre qualcuno diverso da noi che non ci calcola ma mica per questo noi cessiamo di esistere? Penso , seguendoti da un po’, che tu abbia bisogno di prenderti materialmente cura di qualcosa ( come ad esempio hai fatto con piena soddisfazione con il volontariato) e magari affiancare a questo anche la meditazione, che da sola penso alimenti solo la ricerca di una personalità mitica che comunque ha bisogno di uscire da se stessa per incontrare gli altri, è li che da il meglio di sé. Questo te lo dice uno che spesso è più solitario di te.
Ciao Claudio!
Ovviamente scrivendo si esagera sempre un po’ la realtà, ma ho solo descritto una sensazione che mi ha lasciata sul momento, perchè forse anche qualcuno che mi legge l’avrà provata. Dopo un paio di giorni a lui non ho più fatto caso, figurati se ho cessato di esistere per questo 😀
Sì, una sera eravamo in stanza di uno di noi, prima del ritiro, eravamo in sette e quando ho provato a dirgli una cosa non mi ha nemmeno guardata. Non mi interessa proprio approfondire con una persona così, meglio che approfondisca i suoi problemi da solo, e io vado per la mia strada.
Grazie per il consiglio. Io in questo momento della mia vita mi sto dedicando alla meditazione tibetana perché l’ho scoperta per caso e mi sta dando molto in termini di comprensione di come funziona la nostra mente e come cercare di essere sereni. Ovviamente questo percorso non andrà avanti per sempre, ho ancora un ritiro davanti a me che inizierò domani e poi torno alla “vita”.
Io sono una persona molto socievole e sto bene con le altre persone, pur alternando momenti di solitudine in cui ascoltarmi e lavorare su di me e che mi fanno bene. Ed è proprio in questi momenti che, riflettendo, penso a come utilizzare i miei talenti al meglio. E guarda caso (ma come mi conosci bene!) ho anche pensato di tornare al volontariato, proprio durante questo ritiro spirituale.
Grazie della tua riflessione! Un abbraccio.
ciao Elisunday ,
ho letto questo post per caso perché non è arrivato sulla mail. Si in effetti mi ero stupito un po’ perché non ci stava con quello che avevo capito di te ( quelle impressioni che le frasi, la sintassi, i sorrisi delle tue foto tramandavano attraverso il web).Non ci stava con il fatto che una persona solo per il fatto che ti ignorasse potesse urtarti al tal punto da dedicargli un post! Ma leggendo la tua motivazione posso capire che spesso le antipatie a pelle sconfiggono qualsiasi desiderio di fratellanza universale. Dai post post-indiani traspariva comunque, o forse è solo una mia impressione, un maggiore nervosismo. Abituarsi continuamente a nuovi ambienti mette sicuramente a dura prova il proprio baricentro…Claudio
Ciao Claudio!
Non ho più aggiornato il tema del blog perché temo di perdere delle cose, forse c’è qualche problema con la ricezione dei commenti, in questi giorni cercherò di ovviare al problema.
Ah ah no, ma mica avevo dedicato un post a quella persona! Quando scrivo un articolo, ho bisogno di un appiglio per inziarlo, e lo prendo sempre dalle mie esperienze. In quel momento c’era quello, e l’ho usato per dare il la. Tutto qui!
Il nervosismo dei giorni nepalesi era dovuto all’adattamento ma anche al fatto che stavo passando un momento travagliato sentimentalmente. I’m human 🙂
Il baricentro, per stabilirsi, deve inevitabilmente passare attraverso qualche tempesta. Ora sto molto meglio.
Buona giornata!!
Grazie molto bello questo post 🙂
Buongiorno Vittoria, grazie!! Buona giornata
Grandiosa Eli grazie al cielo sei tornata a scrivere i tuoi preziosi post. Vedrai a quanta gente saranno utili. Comunque quel centro buddista è un vero paradiso di natura e armonia a quanto vedo dalle foto! Brava continua cosi.
Ciao Laura, buongiorno!
Sì, il Kopan Monastery è un luogo molto bello e si respira armonia e serenità, ma leggi poi il post che metterò online tra poco, connessione permettendo 😉
Un abbraccio grande!
Con questo post cara Eli hai superato te stessa.
Trasmette una profondità che può essere solo frutto del fatto che stai camminando sulla strada giusta per te. Adoro questo tuo viaggiare con la bussola del sentire.
Ti lascio una poesia di Kavafis, La città, che conoscerai e che il tuo racconto mi ha evocato:
<>
Un abbraccio 🙂
Hai detto: “Per altre terre andrò, per altro mare.
Altra città, più amabile di questa, dove
ogni mio sforzo è votato al fallimento,
dove il mio cuore come un morto sta sepolto,
ci sarà pure. Fino a quando patirò questa mia inerzia?
Dei lunghi anni, se mi guardo attorno,
della mia vita consumata qui, non vedo
che nere macerie e solitudine e rovina”.
Non troverai altro luogo non troverai altro mare.
La città ti verrà dietro. Andrai vagando
per le stesse strade. Invecchierai nello stesso quartiere.
Imbiancherai in queste stesse case. Sempre
farai capo a questa città. Altrove, non sperare,
non c’è nave non c’è strada per te.
Perché sciupando la tua vita in questo angolo discreto
tu l’hai sciupata su tutta la terra.
Bellissima, grazie! 🙂
Ciao carissima Sonia, sai che mentre lo scrivevo pensavo “Non è che se scrivo troppo di cose spirituali, poi non interessa a nessuno?”. E invece bisogna sempre seguire il cuore e la propria spontaneità. Sì, sto viaggiando ascoltando i segnali e il mio cuore, soltanto.
Bella la poesia di Kavafis, non la conoscevo e non conosco lui! GRAZIE DI CUORE
Se stai seguendo i viaggi del cuore te lo consiglio 🙂 Itaca soprattutto.a è troppo lunga per metterla qui.
Un abbraccio!
Le tue parole sono sempre un toccasana !!ben tornata 🙂
GRAZIE DANY!!
Pensa che per molto tempo mi sono chiesta come conciliare la consapevolezza dell’impermanenza con una vita felice. Mi sembrava che fosse necessario un distacco eccessivo dalle cose del mondo, eppure leggevo che non è così. Solo di recente ho pensato che l’ottica è quella delle vite, e non di una singola vita, in cui devi sbrigarti a godere di tutto perché poi sei già vecchio. 🙂
Buongiorno Grazia!
Hai azzeccato il concetto, e infatti bisogna vivere bene in questa vita perché la morte può sorprendere in qualunque momento, e si spera di non avere rimpianti quando arriverà per portarci altrove.
Il biddhismo spiega che non bisogna avere un ditacco eccessivo: solo, imparare ad avere “equanimity” (come si dice in italiano? Non mi viene) per chi ci fa del bene e anche per chi ci ferisce, e non avere attaccamento e possessività, perché quella è la causa principale del nostro vivere male. ma i monaci hanno il telefonino, per cui si può vivere connessi al mondo ma in pace dentro di sè 🙂
Che bel post Ely!! L’ho letto oggi per la seconda volta.. Mi piace il percorso che stai facendo. Quanto è difficile però riuscire a fermarmi anche solo ogni tanto per stare da sola con me stessa, e fare meditazione.. e pensare invece che quando ci riesco sto bene e sono serena per dei giorni..! 😮 Buona continuazione.. ormai sarai al Tushita! 🙂 Bye!
Ciao Manuela! Grazie!
Non è facile trovare il tempo per fermarsi, o meglio, non è facile convincerci che possiamo trovare anche solo mezz’ora al giorno. Si può! E ogni volta che lo facciamo stiamo meglio e ci ripetiamo “Lo devo fare ogni giorno!” ma poi per vari motivi (anzi, scuse) non lo facciamo sempre. Dovremmo invece porci degli obiettivi anche per la nostra vita interiore, non solo per il lavoro!
Un abbraccio da Torino! 😀