Dopo la cronaca per ottenere il rinnovo del visto di lavoro per l’Oman, vi racconto un’altra avventura vissuta in quel di Salalah.
I primi tre giorni sono stata nell’hotel apartment in cui ho vissuto per due stagioni turistiche. Stavolta ero solo di passaggio, per cui ho effettuato la prenotazione all’ultimo momento e senza troppe richieste. Sfortuna ha voluto che l’appartamento in cui alloggiavo, con vista mare e palmeto all’orizzonte, fosse già stato preso da una famiglia yemenita, che aveva occupato l’intero pianerottolo tranne un appartamento. Quello in cui hanno sistemato me. Non tutti i viaggi sono uguali, perché noi non siamo mai gli stessi: un soggiorno nello stesso posto assume ogni volta connotati diversi perché, quando torniamo, siamo ogni volta diversi noi stessi, abbiamo fatto altre esperienze e – soprattutto – abbiamo il ricordo della volta precedente che ci crea delle aspettative, che spesso vengono deluse.

E infatti non mi sentivo a mio agio: non riuscivo a dormire bene, la moschea mi svegliava alle cinque e mezza, poi l’inno nazionale e i vari canti della scuola opposta all’hotel mi ri-svegliava alle sette, l’alloggio non era stato pulito bene, non riuscivo a fare meditazione e il salotto era abitato da una torma di minuscole (ma fameliche) formiche, che in una notte mi hanno mangiato il cinnamon roll che avevo comprato per la colazione. Preferendo l’intimità di un appartamento tutto mio in cui poter cucinare, piuttosto che un anonimo hotel, ho aperto il sito di Airbnb e ho cercato un’altra sistemazione, pur sapendo che non sarebbe stato facile, perché a Salalah se ne trovano poche, e sono generalmente care. Fortuna ha voluto che trovassi un monolocale nuovo, incredibilmente conveniente e appena aggiunto al famoso portale; ho così contattato il proprietario per sapere se ci fosse il wifi e, poiché era sera inoltrata, se fosse stato un problema prenotare già per la mattina successiva. Mi ha risposto un ragazzo gentile e disponibile, e nel giro di cinque minuti la prenotazione era stata effettuata.
Poiché la porta di quello che era stato il mio appartamento fino a marzo era aperta, mentre lasciavo la mia sistemazione ho potuto intravedere enormi sacchi di riso appoggiati al pavimento del corridoio, qualche pentolone e grossi vassoi di metallo, e una donna yemenita vestita di una tunica sgargiante e un hijab nero che le incorniciava il viso decorato con quello che sembrava un tatuaggio temporaneo bianco che ne metteva in evidenza gli occhi neri e le labbra carnose costellate da piccole rughe.
Mustafa mi stava aspettando di fianco all’edificio che ospitava il suo appartamento, con la tunica bianca lunga fino ai piedi (il dishdasha), il tipico copricapo omanita a tamburello di origini zanzibarine (kumma) un sorriso raggiante. Per farsi perdonare che avevo dovuto aspettare fino a metà pomeriggio per entrare nell’alloggio, mi ha invitata a pranzo: davanti a un piatto di shuwarma di pollo e bevendo un delizioso laban alla menta (una bevanda fresca preparata con yogurt e latticello – il liquido che rimane dopo aver fatto il burro) ho ritrovato ciò che mi mancava dell’Oman: la splendida accoglienza del popolo omanita.

Messaggio di benvenuto trovato nell’appartamento di Mustafa
Il monolocale era bellissimo, curato nei particolari, silenzioso e pulito. Un messaggio di benvenuto e un fresco profumo di fiori mi hanno accolta con calore: mi sono slacciata gli stivaletti, ho lanciato la borsa sul divano e sono sprofondata nel piumone – di fustagno come le lenzuola e le federe in cui avrei dormito con 30 gradi. Come in quegli hotel in cui non c’è il lenzuolo di sopra ma solo il piumone, le notti successive avrei dormito coperta a metà, con – a turno – mezza gamba fuori, poi mezzo braccio, poi tutto il busto, poi entrambe le gambe, e infine tutta coperta fino al collo ma con la finestra aperta: dovrò dire a Mustafa di acquistare delle lenzuola di cotone per chi, come me, non dorme con l’aria condizionata accesa ma non riesce a dormire totalmente scoperta.
Poiché Mustafa non aveva ancora acquistato il tostapane, la mattina seguente ho cercato di accendere il forno posto sopra il ripiano della cucina, e dopo alcuni tentativi ho impostato il timer ma non la temperatura, ho aspettato che si scaldasse, vi ho messo dentro mezza baguette tagliata a metà e sono andata in bagno a lavarmi la faccia. Infine mi sono seduta sul divano con la mia tazza di tè nero fumante, fino a quando una luce sospetta all’interno del forno non ha attirato la mia attenzione. Era una fiamma: il pane aveva preso fuoco, e io stavo per incendiare l’appartamento nuovo del mio gentilissimo padrone di casa.

Con un balzo mi sono precipitata verso la cucina, e non appena ho aperto lo sportello del forno, due fiamme – una per fetta di pane – mi hanno salutata con calore, e insieme a loro del fumo nero che ha fatto scattare in un batter di ciglia il sistema antincendio sistemato sul soffitto. Sudando freddo immaginando l’inimmaginabile, con uno strofinaccio ho preso i due pezzi di pane ancora in fiamme (ma ormai carbone) e li ho gettati nel lavello sotto l’acqua. Il fuoco era stato estinto. Ma la sirena antincendio non accennava a smettere di suonare, nonostante avessi spalancato entrambe le finestre.
Sono così uscita sul piano in cerca di una soluzione; la sirena suonava pressoché ovunque quando dalla porta dirimpetto alla mia è uscita una ragazza truccatissima (che quando mi ha parlato ho scoperto essere un ladyboy filippino) che ridendo ma con grande flemma mi ha suggerito di aprire anche la porta d’entrata e lasciare che il fumo uscisse, in modo da farla smettere di suonare. In quel momento è arrivato l’addetto al mantenimento del palazzo, un ragazzo bengalese giovanissimo e magro come un chiodo che in un inglese stentato mi ha chiesto cosa fosse successo. Dopo averglielo spiegato, mi ha risposto: “Non devi fumare in casa altrimenti suona l’allarme antincendio!”. “Ma io non ho fumato!”, gli ho risposto infastidita, mostrandogli i due pezzi di pane carbonizzati nel lavabo.

“Ah ok!”, mi ha risposto ridendo. “Però non fumare, eh?”, ha aggiunto dandomi il suo numero di telefono in caso avessi avuto bisogno.
“Good morning Mustafa, how are you? Salam aleikum! Stamattina ho fatto scaldare il pane nel forno e stavo per dare fuoco al tuo appartamento, ma ora è tutto a posto!”, ho poi scritto al padrone di casa. Il quale, con la gentilezza che lo contraddistingue, ha replicato: “Aleikum salam Elisabita! Cos’è successo? L’importante è che tu stia bene! Stasera però ti porto un tostapane”.
Nel pomeriggio, mentre era al supermercato, mi ha mandato la foto di un tostapane: “Questo va bene?”.
Siamo diventati amici.
Credo ci siano pochi luoghi al mondo in cui il padrone di casa avrebbe pensato prima alla tua salute e poi al suo appartamento, in cui ti offra un pranzo per ringraziarti di aver aspettato ad entrare nella sua casa perché gli inquilini precedenti avevano fatto il check-out tardi e doveva ancora pulirlo, e che ti compri una SIM card con 25 Giga di internet da usare come hot-spot dal telefono al tuo laptop.
L’Oman è un paese sicuro e si può girare da soli e in tutta tranquillità – anche se si è una donna che viaggia da sola: l’ospitalità e la cortesia omanite hanno una marcia in più, ed è uno dei ricordi più belli che ci si porta a casa da un viaggio in Oman.
A volte, insieme a un forno ed un tostapane.
5 Comments
Che amore Mustafa! Io però ho riso tantissimo immaginandomi la scena di te che lanci il tostapane e incontri il ladyboy mentre cerchi aiuto. Per lo meno il sistema antincendio aveva solo la sirena, immaginati se ci fosse stato l’autospegnimento con l’acqua come nei film 😀
Cortesia batte pane carbonizzato due a zero! Certo che in viaggio non puoi mai sapere cosa aspettarti, nemmeno in positivo. 🙂
Excuse me , Can I have Mustafa Number or Place…Actually very difficult to find people like that…
Jean Smith
Hello Jane, unfortunately he didn’t list his apartment anymore so it’s not possible to rent it anymore. I wish we can find such great people more often when we rent houses. Have a nice Sunday!
Very Nice Man Mustafa,
I hope to find him too
Please put more details about him