Il perchè da anni non sia ancora riuscita a partire una sola volta tranquillamente, senza affanno, senza valigia ancora da preparare alle 11 di sera (e la sveglia puntata alle 5 del mattino del giorno dopo per terminarla), resta un mistero. E tale resterà ancora per molto, temo.
La valigia che vado dicendo consiste in: un trolley di dimensioni gigantesche color aragosta – inguardabile ma riconoscibile sul rullo dell’aeroporto; un trolley nero che funge da bagaglio a mano; un piccolo zaino originariamente di dimensioni normali, ma che riempito all’inverosimile con macchina fotografica, computer, felpa e mangiativa, assomiglia a un cheeseburger doppio. E meno male che prenderò un pullman: se il trolley nero è l’unico bagaglio a mano consentito per l’imbarco in aereo, lo zaino per cosa dovrei farlo passare? Ma non divaghiamo.
Anche questa volta, quindi, la preparazione della valigia è stata effettuata tra patemi d’animo, emicrania, zampe e code di cani (lerci) tra i vestiti piegati a terra (lindi), shampoo da imbustare, passaporto da cercare (ma dove l’avevo nascosto, accidenti?) e le solite imprecazioni pre-partenza (Maledetto il giorno in cui ho deciso di partire! A quest’ora sarei a casa tranquilla, insegnerei a scuola, e non dovrei fare e disfare valigie una volta al mese se non di meno! e via imprecando). Sono le 6 del mattino, e mi chiudo alle spalle la porta della casetta che è stato il mio rifugio thailandese per cinque settimane. Respiro ancora una volta il profumo delle palme e della vegetazione fresca di pioggia e di notte. Ascolto un’ultima volta gli uccellini che mi hanno svegliata presto la mattina con un gran fracasso di ali, becchi, fischi e cinguettii. Tiro un sospiro lungo e profondo, che chiude definitivamente il capitolo Thailandia. Se ne apre uno nuovo, breve in Malesia, più lungo in Medio Oriente. Andiamo.
Laika mi guarda con quei suoi occhi lunghi e schivi – ma le orecchie basse tradiscono la sua sensibilità di cane, che sentiva la mia partenza – e mi morde le caviglie mentre salgo sul minivan che mi porterà da Ao Nang al confine con la Malesia. Il viaggio fino a Kuala Lumpur mi costa 1100 THB, circa 28 euro, e promette di durare un giorno intero. Sul minivan ci siamo solo io, l’autista (zoppo, col pizzetto – quattro peli neri – e le unghie lunghe) e la musica thailandese. A Krabi raccogliamo altri viaggiatori, anch’essi bizzarri, che in pochi minuti stipano il minivan di valigie, profumi sconosciuti e tic. I più interessanti sono quattro norvegesi, tre donne e un uomo, sulla cinquantina. Benchè norvegesi, hanno quell’aria stravagante e pop del gruppo svedese Abba. Sono tutti e quattro biondo cenere, lui ha i baffi, loro i tatuaggi, chi colorati chi neri, chi sulle spalle chi sulle gambe, e un numero imprecisato di piercing. Mi sorridono e prendono posto. Si parte, ma dopo pochi minuti siamo già fermi a un benzinaio: l’autista ha dimenticato di sfilarsi le ciabatte infradito di gomma che stanno su per miracolo, per rimpiazzarle con delle scarpe da ginnastica bianche e linde come bucato steso al sole. Ripartiamo alla velocità della luce, e io controllo per la centesima volta se ho il passaporto (accidenti, dove l’ho messo, di nuovo?). Dal quale passaporto sbuca un foglietto, e dal quale foglietto sbuca l’indirizzo del condominio che mi ospiterà per una settimana a Kuala Lumpur.
Mi è sempre piaciuta l’ebbrezza che dà un indirizzo nuovo, la sensazione di ignoto, di paura (sarà fatiscente?), di fascino (sarà interessante?). E’ inebriante immaginare cosa si nasconde dietro quell’indirizzo (Bandar Sri Permaisuri), quel condominio (Bloc C, Level 15, Unit 9). Cosa vorrà dire Sri? E Permaisuri? Poi tutto prenderà forma, le parole diventano un palazzo fatiscente (paura fondata) o interessante (fascino azzeccato), una casa stretta e ben tenuta, o ampia e decadente. Però è lì che aspetta te, te e la tua valigia di sogni e di avventure.
Ci fermiamo in un’area di ristoro; gli Abba non smettono di decantarmi l’Italia, soprattutto lui, e io annuisco (Yes? Really? Wow! Great!) anche se non capisco quasi nulla di ciò che mi dice nel suo inglese svedese. Mi parlano di Toscana, di colline, di vini e colossei. Quanto mi sembra lontana l’Italia in quel tratto di strada tra la Thailandia e la Malesia: dopo cinque mesi, l’Italia deve essere scivolata via pian piano dalla mia valigia.
Risaliamo rifocillati sul minivan, e la Abba di fianco a me, quella con piercing sulla lingua, al sopracciglio e tre per orecchia, rovista nella borsa borchiata finchè trova due uncinetti e con quelli si mette a lavorare serafica con del filo arancione-golf della nonna, saltando in aria ad ogni buca (e ce ne sono tante) e ridendo a bocca larga, facendo brillare il pallino argentato in mezzo alla lingua.
A mezzogiorno giungiamo in una città di confine, e ognuno di noi prenderà la sua strada: gli Abba trasferiscono piercing, baffi, tatuaggi e uncinetto su un autobus diretto a Penang (“See you in ROMA!”); io sull’inquietante K.K.K.L. Trans Lim Express diretto a quella che qui chiamano affettuosamente KL: Kuala Lumpur. L’autista che carica le valigie mi chiede stupido “Ma cos’hai messo qui dentro?” e io “Sa, viaggio per un anno”, e nascondo dentro quella scusa la mia incapacità di viaggiare leggera. L’autista non sembra abboccare, lo capisco dal sopracciglio alzato e il sorriso a mezz’asta, che diventa una smorfia quando alza la mia valigia per sistemarla nel bagagliaio. Però poi mi chiede di dove sono, e quando dico “Italy” gli torna il sorriso: da queste parti, quando dici Italy sorridono tutti. E tu non sai se perchè han sentito del bunga bunga, o perchè gli piace la pizza.
L’autobus è spazioso e i sedili, larghi e comodi, campeggiano fieri tra tendine azzurre da tinello italiano anni sessanta. Ma il mio sguardo è attratto da una tenda nera che separa noi pellegrini da una specie di sgabuzzino scuro al fondo del pullman, che lascia intravedere un materasso stretto e basso, e un cuscino largo e alto. Più tardi vi si sdraierà uno dei membri dell’equipaggio, che si sveglierà, tonto e sonnolento, solamente quando il pullman giungerà trionfale alla frontiera malese, dove ci viene gentilmente chiesto di scendere. Noi e le nostre valigie. (Continua – PART II)
3 Comments
Elizabeth the Great!!
Raf the Greatest 😉
[…] divertente tra la Thailandia e l’Oman. Partii da Noppharat Thara Beach al mattino presto e arrivai la sera tardi a Kuala Lumpur, io e le mie valigie ingombranti. Con questa città è stato subito un colpo di fulmine: l’ho […]