Alle 13.15 il pullman arriva alla frontiera malese. Scendiamo tutti dall’autobus, e passiamo prima all’ufficio thailandese per il timbro di uscita, poi, insieme alle nostre valigie, alla frontiera malese. L’autista thailandese ci saluta; al suo posto, un malese dai capelli grigi – una delle poche volte in cui vedo un asiatico brizzolato (non so se per via dei geni o di una buona tintura) – si mette alla guida per la seconda parte del viaggio. Un caldo afoso mi investe tutta mentre arranco con le valigie (e i calli alle mani) verso l’interno dell’ufficio malese, accolta dall’emorme scritta “MALAYSIA THE REAL ASIA”, e dove avrò premura di dire all’ufficiale di turno (un ragazzo giovane, scuro e loquace) di mettere il timbro d’entrata in Malesia a pagina 12 del mio passaporto. Perchè, chiederete voi?
Gli italiani in viaggio – una razza a se stante distinguibile dalle altre per via dei vestiti coordinati, lo zainetto e la lamentela pronta – si suddividono in due categorie: quelli simili a Furio del film Bianco Rosso e Verdone, che calcolano, controllano e soppesano tutto prima di azzardarsi a uscire di casa (e quindi portatori sani di ulcera a chi sta loro intorno); e quelli che partono per un lungo viaggio come se andassero a fare una scampagnata dietro l’angolo, lasciando i dettagli al caso, che al limite si risolvono cammin facendo. E’ indubbio che io debba essere classificata in quest’ultima categoria, se prima di partire per un viaggio di un anno nell’altro emisfero, non abbia nemmeno controllato quante pagine libere mi fossero rimaste nel passaporto: poche. La magnifica scoperta è avvenuta non in Cambogia (tappa numero 1), non in Vietnam (tappa n.2), e nemmeno in Cina (tappa n.3), bensì in Thailandia, dopo ben tre mesi in viaggio. Mentre le ambasciate americane nel mondo permettono di aggiungere pagine ai passaporti dei cittadini statunitensi, quelle italiane no. Finisci le pagine del tuo passaporto mentre sei in viaggio? Devi tornare in Italia a farne uno nuovo. Non penserete mica che abbia cominciato a disperarmi: a tutto c’è rimedio, no? Andrò solo in Paesi in cui non abbia bisogno di un visto, ma che per entrarvi basti un timbro e amen. Proposito prontamente non rispettato: dopo la Thailandia mi sono fiondata in Myanmar.
Alla frontiera l’autobus si riempie di personaggi alquanto bizzarri: un ragazzo con larghissimi jeans a campana, una maglia a grosse striscie turchesi e nere, una borsetta con la bandiera della Gran Bretagna stampata sul davanti e capelli lunghi e lisci con la riga in mezzo, il cui viso mi ricorda vagamente Michael Jackson ultima maniera, pur senza sembrare uno zombie; un ragazzo (forse) con i capelli color rosa confetto, come le sopracciglia, e mi ricorda Hello Kitty; una bambina con un bel vestitino rosso (e fino lì tutto normale) con due larghe ali montate sulla schiena, infilate sulle spalle tipo zainetto, che sembra una farfalla pronta per prendere il volo. Tutti e tre (anche la bambina) estraggono dalle rispettive borse chi un Ipad, chi un lettore Mp3, chi un cellulare. Compio un’esplorazione più approfondita, e mi accorgo che tutti, su quel pullman, stanno smanettando sui propri apparecchi elettronici. L’unica che non lo sta facendo sono io: sono troppo intenta ad osservare loro.
Mi accorgo anche che i colori della pelle sono cambiati: ora sfumano dal caffellatte al dorato, dal bianco al giallino, tipico della splendida varietà del popolo malese. Un melting pot di etnie e culture interessante, che non mi aspettavo: malesi, malesi-cinesi e malesi-indiani, più gli indo-pakistani di recente immigrazione. Ognuno porta colore, cucina, spezie e tradizioni, capelli lisci o ondulati, pelle chiara, olivastra o scura, occhi a mandorla o occhi tondi, sari indiani o vestiti occidentali, capelli al vento o chador e qualche niqab cha lascia scoperti solo gli occhi.
La sosta all’autogrill dura solo mezz’ora, durante la quale faccio una visita al bagno pieno di mosche, al ristorante pieno di mosche, e mangio un riso e una frittata buonissimi, ma pieni di mosche. Mi dicono ci sia il wi-fi, così accendo velocemente il mio computer e cerco una presa elettrica, per accorgermi che è quella britannica a tre entrate. Hello Kitty, seduto a un tavolo di fianco al mio, accorre subito in mio soccorso, e infila nella terza entrata il serbatoio di una penna mentre spinge dentro la spina del mio computer, et voilà il gioco è fatto. Peccato che dopo solo un paio di minuti l’autista accenda già l’autobus, e tutti dentro di corsa, destinazione Kuala Lumpur.
L’autobus arranca su una strada che taglia distese infinite di palme, poi mi distraggo un attimo e quando guardo fuori dal vetro, le palme sono scomparse: al loro posto, una fitta vegetazione si staglia nel cielo col suo verde brillante, una giungla tagliata dall’autostrada: sembra di essere stata catapultata in un altro mondo. Piove, il cielo è cupo e una nebbia a nuvole si innalza dalla vegetazione tra le montagne basse. Questo è ciò che riesco ancora a vedere alle 18.20: dopo cinque minuti una notte buia come la pece copre strada e foresta, e resta solo la luce fioca della lampadina sopra la mia testa. Mi addormento col cappuccio della felpa in testa, la mascherina a coprirmi gli occhi e una coperta viola sulle gambe, trovata sul sedile. Alle 21.30 sento qualcuno scuotermi, e una voce gentile mi sbraita “Sveglia! Kuala Lumpur!”. Rintontita mi sistemo, preparandomi per il round finale: la contrattazione con il taxista di turno, che cercherà di fregarmi sul prezzo come tutti i taxisti che si rispettino, da questa parte del mondo.
Estraggo dalla tasca il mio foglietto: Issac – Sri Permaisuri – Bloc C, Level 15, Unit 9. Scendo, e vengo subito accerchiata da un terzetto di taxisti malesi-indiani dall’aria furbetta, i denti storti e il fare suadente. Benvenuta in Malesia. The real Asia.
9 Comments
Ciao!!! e complimenti per le tua scelta!!!
oltretutto scrivi molto bene..continua cosi’!!
p.s. se finisci le pagine del passaporto basta che vai in una qualsiasi ambasciata italiana e nel giro di 15 giorni ti fanno il passaporto nuovo….per cui non hai piu scuse, viaggia!!!!
Grazie!! Sul passaporto ero in Thailandia e mi avevano scoraggiata, dicendo che l’ambasciata di Bangkok non emette passaporti se non ai residenti, e magari insistendo te lo fanno, in un mese o due. Però ora sono in Oman e qui mi dicono te lo rifanno senza fare storie. Sabato vado in ambasciata qui a Muscat poi aggiorno il mio commento. Se così fosse: NIENTE SCUSE! Tanto per cominciare, a Natale vado in Iran, dove mi stamperanno un’altra bella pagina, eh eh
Ciao, leggendo il tuo blog mi fai ricaricare l’adrenalina (farei le valige in un secondo!!) per risvegliarmi dall’altra parte del mondo.
Ammiro il tuo spirito e il tuo carattere perche cavolo hai pienamente ragione su quello che hai fatto. Intendo : quando le cose non girano non girano!!!!
E in questi momenti la viaggio terapia (come la chiamo io) è l’unica cura possibile,cioè staccare tutto per un pò e trovarsi dentro una reslta completamente diversa da quella che vivi giornalmente nel tuo paese.
Sto pianificando un corso di inglese all’estero per imparare un pò la lingua perchè il mio modo di comunicare e buffo! ma fin ora efficace ,tutto cio mentre sogno di tornare in Asia per girarla e fermarmi definitivamente trovando una vita più adatta a me.Ti ringrazio dei tuoi racconti, consigli, e informazioni spero presto di vedere tuoi nuovi aggiornamenti ti chiederò sicuramente qualche consiglio!!!!!
Ciao Simone
Ciao Simone! Grazie per le tue parole, che hanno caricato di adrenalina anche me 😉 Hai detto bene: è proprio una viaggio-terapia. Con quello che costano gli psicologi, poi, meglio farsi un viaggio e ritrovarsi da sè, no? Il silenzio di un viaggio in solitudine cura quanto (o forse meglio) di una terapia: le risposte vengono da sè. Basta staccare da tutto e ascoltare la propria voce interiore.
Bravo, buttati in un corso di inglese intensivo che valga (io l’anno scorso ho studiato per un anno per passare il Proficiency di Cambridge, un obiettivo per studiare meglio e non perdermi a metà strada con scusa varie), e poi PARTI. Non è mai troppo tardi per cercare uno stile di vita adatto alla propria personalità. Senza più doversi accontentare. Bisogna osare; andare controcorrente. Per i consigli, io sono qui! Un abbraccio da Muscat 😀
@Matteo: Confermo che all’ambasciata italiana di Muscat rifanno il passaporto pur non essendo residenti. La tempistica ve la dirò quando avrò in mano il mio passaporto nuovo di zecca.
hello ellzabetaaaa
Hi Khalid!
yes!…comunque anche a Bangkok lo fanno ( alcuni anni fa ho smarrito il passaporto in Thai e ho dovuto rifarlo) ho dovuto aspettare se non ricordo male circa 12 giorni. La spesa più o meno come in Italia.
A Bangkok te l’hanno rifatto probabilmente perchè l’avevi smarrito, ma nel caso in cui stai per finire le pagine del passaporto come nel mio caso, a quanto mi hanno detto sono riluttanti nel rifarlo perchè non residenti. Comunque, una bella notizia: oggi mi hanno già consegnato il mio passaporto nuovo, qui all’Ambasciata d’Italia a Muscat. Tempo di consegna: 2 giorni. Costo: circa 80 euro. Evviva!