Da bambina sognavo di fare la maestra elementare, e ho inseguito questo sogno finché non ce l’ho fatta.
Ho iniziato a insegnare alla scuola elementare nel 1999, e nel 2006 ho iniziato a insegnare inglese, per poi entrare di ruolo l’anno successivo come specialista di lingua straniera. I bambini erano così diversi l’uno dall’altro che facevo fatica a far loro raggiungere gli stessi obiettivi nell’apprendimento della lingua inglese.
All’inizio ho fatto diversi errori nel mio metodo di insegnamento e, come in tutte le cose, ho imparato facendo: bisogna testare, provare varie strade, e alla fine si trova quella giusta. Io trovai il metodo giusto che faceva innamorare i bambini della lingua inglese, e che si sposava in maniera perfetta con la mia personalità, dinamica e giocosa: il metodo ludico. Feci mio il metodo Total Physical Response, creato dallo psicologo americano James Asher negli anni Settanta, una strategia flessibile che introduce lo studio di una lingua a partire dall’esecuzione di istruzioni verbali, i comandi, associando movimenti del corpo. Ogni set di vocaboli lo introducevo con canzoni e giochi vari, per poi passare a brevi dialoghi e storie, alla messa in scena in classe di queste storielle e a giochi quale il mercato.
Utilizzavo vari strumenti, tra cui il burattino da mano Benji (che non aveva mai voglia di studiare), alcune manine che applaudivano e un timer a forma di hamburger, che i bambini si dovevano passare di mano in mano dicendo ognuno u numero in ordine da uno a venti o da uno a cinquanta, finché a uno di loro non suonava in mano e allora scattava la penitenza. Di solito, saltellare su un piede dicendo tutti numeri.

Le storie sulla mia gatta (che allora non aveva neppure un anno ed era pestifera) si intrecciavano con quelle di Benji che non lasciava dormire, rendendo la lezione ancora più divertente. Poiché avevo vietato loro di usare la lingua italiana durante i giochi, e ricordo un bambino di quinta che, mentre vendeva frutta e verdura (di plastica) al suo banco, chiamò un potenziale acquirente urlandogli in piemontese: “Ven si!” (vieni qui).
Si rideva insieme, ci si divertiva, e alla fine i bambini apprendevano – e non avevano più il mal di pancia il giorno prima di venire a scuola sapendo che avrebbero avuto l’ora di inglese, com’era accaduto a tanti di loro in passato.
Sono stati anni felici, ma mi mancava qualcosa: avrei sempre voluto fare un’esperienza di volontariato internazionale di un anno. In Africa. Così, dopo tre anni di insegnamento osai chiedere otto mesi di aspettativa, che il dirigente scolastico mi concesse perché credeva anch’egli nell’importanza di coronare i proprio sogni.
Alla fine il destino volle che partissi non per l’Africa ma per la Cambogia, e quell’esperienza mi cambiò la vita.
Rimasi in contatto con i miei alunni per tutto l’anno scolastico, mandano loro fotografie di un mondo che non conoscevano, quello cambogiano, illustrando cibi, frutti strani e animaletti che popolavano la mia camera da letto (gechi, scarafaggi e una piccola rana intrusa), ma anche esperienze di povertà e di vita. Le mie colleghe collaborarono facendo alcune ricerche in classe e realizzando cartelloni con il materiale che mandavo.
I bambini mi rispondevano con mille domande e tanti bigliettini, che mi fecero trovare in classe il giorno in cui ripresi servizio a scuola il 1 giugno, frastornata ma felice di aver avuto la possibilità di donare un anno della mia vita a chi ne aveva bisogno.
Ancora non sapevo che, sei anni dopo, con un atto di coraggio e un po’ di incoscienza, avrei deciso di lasciare il posto fisso per prendere una strada nuova. Non posso dire che il cammino di allora non faceva per me ed ero infelice: era solo un cammino diverso, adatto a quella che ero allora.
Questa è una rara immagine di me versione teacher:

Nel corso della vita si cambia; cambiano le nostre priorità, i nostri desideri, l’atteggiamento che abbiamo nei confronti dei problemi, delle relazioni e della vita. Capita che ci svegliamo una mattina e ciò che prima ci rendeva felici non ci dà più le stesse soddisfazioni, perché in realtà vogliamo altro. Ascoltare quella voce potrebbe aprirci a nuove possibilità e – se si fanno i passi giusti – a una nuova versione di noi stessi.
Ne abbiamo tutto il diritto: non siamo forse venuti al mondo con una missione?
La mia missione è sempre stata l’insegnamento, che è la cosa che mi riesce più semplice fare, un po’ come respirare.
I bambini non sanno cosa sia il limite: quando decidono di fare una cosa, non sanno che potrebbero non farcela.
Io sono sempre stata un po’ bambina, per questo ho sempre seguito il cuore e il mio intuito con spontaneità. Che fossi stata in classe, in una relazione amorosa o in viaggio, il mio essere bambina mi ha sempre portata sulla strada giusta. E se non era quella giusta, mi ci ha fatta avvicinare. Se pretendiamo di avere sempre tutto sotto controllo non ci lasciamo andare, non stiamo a vedere come andrà a finire, e forse non decidiamo mai nulla.
Mi manca la scuola elementare; mi mancano l’odore della classe e il profumo della gomma e delle matite; mi manca l’abbraccio delle bambine quando arrivavo in classe con una preoccupazione, e con il loro calore mi passava subito tutto; mi mancano insegnare la lingua inglese e la campanella; mi manca la spontaneità dei bambini che noi adulti abbiamo perso; mi manca osservarli giocare sereni durante l’intervallo, vederli litigare ma fare subito pace: i bambini non portano rancore.
Non è detto che, un giorno, non torni a insegnare. La vita è fatta di infinite possibilità, di porte che si chiudono e altre che si aprono. Con il giusto atteggiamento mentale si può trasformare una situazione infelice in qualcosa di nuovo.
Facciamoci un bel regalo di Natale: lasciamo affiorare il cuore bambino che è dentro ognuno di noi. Potrebbe essere la volta buona che torniamo bambini, senza quelle inutili inibizioni a controllarci la vita.
Come lessi un giorno: “Ogni bambino ha diritto di brillare a modo suo”. Anche da adulto.
4 Comments
Che bello, nella foto si nota il tuo sorriso e la tristezza delle altre due teachers! 😉 😀
Ciao Denise, io di solito sono sorridente nelle foto e di natura, ma le altre due teacher credo fossero semplicemente stanche perché era la fine dell’anno scolastico 😀
Buona mattina Pupa! Sto andando a lavoro e stavo legendo la storia nel articolo e nell viso mentre legevo l’avevo un sorriso ☀️🤗🤩 Grazie bella verita.
Ciao Pupa ime! Che bello trovare il tuo commento sul mio blog, una bella sorpresa mattutina.
Sono contenta che ti abbia strappato un sorriso! Un abbraccio grande e speriamo di vederci presto somwehere in the world 😀