TORINO, Italia – Nel 2002 avevo accettato una supplenza di italiano in una scuola media di un paesino sperduto nella campagna, a pochi minuti da casa. La classe era composta da una ventina di alunni che parlavano mezzo italiano e mezzo piemontese ed erano dotati di un forte senso dell’umorismo e un’enorme curiosità nei confronti della vita privata della loro professoressa di lettere. Ai tempi avevo una relazione con un ragazzo senegalese originario del Gambia che andava avanti dai tempi dell’università, e un giorno, sfinita dalle domande dei miei alunni, dissi loro che il mio ragazzo era un africano grande e grosso che assomigliava a Michael Jordan, ma non ne riveli mai il nome. Lo battezzarono “Bertu Jordan”.
In quel periodo ero al massimo della miopia: mi mancavano 10.5 diottrie da entrambi gli occhi. Avevo sviluppato questo disturbo visivo nell’adolescenza e nei periodi di studio intenso ebbe una progressione rapida al punto che senza occhiali vedevo solo nebbia, e non uscivo senza indossare le lenti a contatto per non farmi vedere in giro con dei fondi di bottiglia. I miei genitori decisero così di farmi un regalo: ridonarmi la vista.

Mia mamma, mia sorella ed io fummo accolte dal Prof. Fabio Dossi in uno studio che sembrava l’ufficio di J.R. della serie televisiva Dallas, in pelle e interamente tappezzato di targhe e riconoscimenti internazionali. Arrivavo da due esperienze di volontariato in Kenya e Madagascar e due mesi in Kosovo, e sapere che il professore che mi avrebbe operato era anche impegnato a combattere le malattie della vista in paesi quali Benin, Kenya, Kazakistan, Uzbekistan e Afghanistan mi apriva il cuore.
“Dossi, grazie a quel ciclo di studi, diventa il primo in Italia in grado di utilizzare una tecnica rivoluzionaria (basata sugli ultrasuoni) per la cura della cataratta. Insomma, una vita da sogno. Eppure non gli basta. Il suo Rotary club nel 1984 raccoglie fondi per costruire pozzi in Africa. Ma i conti non tornano lo stesso. «Mi era sembrato un modo – ricorda oggi – per lavarsi la coscienza. Così ho pensato di impegnarmi direttamente: mi hanno segnalato un ospedale gestito da alcune suore al confine tra Kenya ed Etiopia che aveva necessità di una figura come la mia e mi sono buttato».” (da La Stampa)
Decidemmo così di mettere i miei occhi nelle sue mani, prima con un trattamento laser della retina per correggere delle degenerazioni periferiche, poi con l’intervento di cheratectomia laser ad eccimeri, l’intervento che mi avrebbe cambiato la qualità della vita per sempre.
Il giorno dell’intervento mi instillarono alcune gocce di collirio anestetico e procedettero con l’asportazione di una parte della sottile membrana superficiale della cornea – l’epitelio – per poi procedere con il trattamento laser vero e proprio. Il tutto durò circa 3 minuti e 100 secondi, che mi sembrarono eterni.
Uscii dalla clinica indossando occhiali da sole polarizzati e la paura di aprire gli occhi e non vedere più. Una volta in macchina non resistetti e aprii leggermente gli occhi. Urlai dalla gioia: “Mamma, papà, riesco a leggere la targa della macchina di fronte!”.
Con l’operazione al laser per la miopia riuscii a riacquistare dieci decimi, anche se negli ultimi diciassette anni ho poi perso 1.25 diottrie. Nulla in confronto alla semi-cecità di prima. Il Professor Dossi ( e i miei genitori) mi donarono una seconda vita e mi liberai per sempre di lenti a contatto, liquidi e occhiali, se non quelli che attualmente uso per guidare.
Lo scorso mese in India mi ero accorta di vedere un po’ annebbiato dall’occhio sinistro, così l’altro giorno sono andata allo studio Dossi a farmi visitare, per scoprire che la causa di questo abbassamento della vista è causato da un foro lamellare all’interno dell’occhio. Dovrò quindi rifare l’esame OCT a dicembre, per valutare lo stato del foro: se si sarà allargato dovrò sottopormi a vitrectomia, ovvero l’asportazione del corpo vitreo, il liquido contenuto nella cavità principale del bulbo oculare. Pur avendo risolvendo il problema della miopia, l’occhio resta quello di una persona miope, quindi allungato, e questo può portare col tempo a problemi alla retina.
In quel momento mi è venuto alla mente lo scenario peggiore, ovvero di perdere la vista da un occhio. E subito ho pensato all’urgenza di fare tutto ciò che sognavo di fare – scrivere, osservare, volare – prima che succeda qualcosa di spiacevole che mi possa impedire di vivere ancora la vita a modo mio.
La scrittrice Claudia Durastanti ha affermato: “I disabili sono una maggioranza nascosta, quasi tutti con il tempo perderemo un super potere, che sia la vista, un braccio o la memoria”.
Non aspettiamo di perdere i nostri super poteri per iniziare a vivere.
2 Comments
Ti immagino con una benda nera, tipo corsara… molto sexy 😉
Ciao Paolo! Ahaha, giusto l’altro giorno un amico mi ha detto che la benda sull’occhio sarebbe molto fashion, ma preferirei non metterla 😀