L’incontro è avvenuto in un luogo molto romantico, un punto di ristoro in cui si fermano i pullman che da Sihanoukville tornano a Phnom Penh, composto da: un bagno pubblico; un ristorante dall’aspetto malsano che serve noodles e zuppe varie su tavolini e sgabelli di plastica azzurri e rossi; un paio di baracche che vendono ananas e mango a fette dentro sacchettini di plastica, panini dall’aspetto inquietante e svariati cracker e snack, tra i quali spiccano sacchetti azzurri di patatine al gusto calamaro, dall’originale forma di maccheroni. Una piccola divagazione: questi sacchetti di maccheroni al calamaro vengono venduti per le strade di Phnom Penh, però in formato gigante. Personalmente mi fanno l’effetto dei ragni fritti: molto esotici, ma li lascio assaggiare a qualcun altro.
Scendo dal pullman, e vedo uno che si soffia il naso con le mani, per poi liberarsi del contenuto del suo naso sbattendo la mano verso un’aiuola a lato del parcheggio. Vado in bagno, e l’elegante signora in coda prima di me tira sonoramente su col naso il suo muco, per poi sputare a lato della porta poco prima di entrare nel restroom. Il bagno, come tutti qui in Cambogia, manca della carta igienica: a lato del buco a terra c’è sempre un grosso otre colmo d’acqua, nel quale galleggia un pentolino di plastica col quale si sciacqua il buco a terra, nonché gli eventuali altri buchi del corpo, con l’ausilio delle mani.
Poiché dovevo chiedere all’autista del pullman se mi avrebbe fatta scendere in un certo quartiere di Phnom Penh, mi dirigo verso di lui, per poi bloccarmi quando vedo che si sta pulendo un’orecchia con la sua lunga unghia del mignolo. Non potendo fare a meno di parlargli, vado verso di lui nauseata e con il mio foglietto in mano scritto in khmer, che lui comincia a leggere tenendo il segno con l’unghia del suddetto mignolo. Per fortuna mi dice (in khmer e a gesti) che non passerà da lì, così posso buttare immediatamente il foglio contaminato e mettermi il cuore in pace.
Mentre torno dalla mia amica che sta comprando una bibita, sento un rombo di moto Honda truccata da Harley Davidson, guidata da un casco nero a forma di teschio. Mentre il teschio parcheggia la finta Harley di fianco al simil-ristorante, tutti si girano e si bloccano a guardarlo mentre, con indifferenza, si toglie il teschio.
Scende dalla moto e tutti possiamo finalmente rimirare questo tipetto sulla trentina, alto all’incirca un metro e sessantacinque, i capelli con la cresta (non alta, ma gli dà quei tre centimetri in più – fortuna sua), una cresta ondulata perché il ragazzo ha i capelli mossi, leggermente rasati sui lati con dei motivi fatti con la macchinetta, una manciata di piercing vari alle orecchie, jeans consunti, All Star ai piedi, una canottiera aderente nera a sottolinearne la muscolatura perfetta e una collana con un ciondolo a teschietto, in tema col casco. Incede verso un banchetto e mi sorride, un sorriso bellissimo, e noto le labbra piene, gli occhi leggermente a mandorla, le mandibole pronunciate e la pelle ambrata. Dopo mesi passati in castità, e circondata da cambogiani col sex-appeal di un bradipo, ne rimango fulminata.
Io sono al massimo del mio splendore: pantaloni bianchi di cotone di due taglie in più della mia, una canottiera verde militare che mi arriva alle ginocchia con sopra una maglia rosa più un foulard, anch’esso rosa, per ripararmi dal gelo dell’aria condizionata del pullman, ciabatte ai piedi e capelli inamidati e in uno stato pietoso, dopo tre giorni di mare. Vedo che la mia amica comincia a parlargli, mi avvicino e lo saluto. Quando viene a sapere che sono italiana, mi dice che è appena stato in Italia in visita ad amici (capisco all’istante che è benestante), e cominciamo a parlare. Scopro così che l’insolito cambogiano si chiama Vesna, è un ballerino, insegnante di hip hop e coreografo, che il suo nome in lingua khmer significa “destino” e che è una persona allegra e loquace. Infatti mi mette subito di buonumore.
Quando torno al pullman, pronto per ripartire, ci siamo già scambiati il numero di telefono, e con una velocità impressionante: la mia amica non se n’era neanche accorta. Il ragazzo di rimette il teschio e riparte per Phnom Penh.
Dopo qualche telefonata, di lì a due settimane decidiamo di incontrarci.
L’appuntamento è alle ore 20.45 davanti all’FCC (Foreign Correspondents’ Club), un locale con vista sul fiume Tonle Sap. Io quella sera avrei dormito alla Diamond Guesthouse, da me scelta per dormire quella notte. In italiano guest house potremmo tradurla come pensione, anche se in realtà sono luoghi abbastanza deprimenti che i turisti senza soldi come me utilizzano per dormire con poca spesa.
Verso le 18 mi avvio verso la mia stanza, posta all’ultimo piano di un edificio gestito da ragazzi giovani dall’immancabile unghia del mignolo lunga. So che non sto per fare un incontro che fa per me o che mi avrebbe fatta stare meglio, ma decido di viverla come un’avventura da aggiungere alla mia esperienza cambogiana: in fondo, prima o poi aprirò un blog, o magari scriverò un libro tipo “La vita torbida di una reginetta di campagna”. In ogni caso, le scrittrici le storie se le vanno a cercare, altrimenti di cosa scriverebbero?
La stanza è situata in una soffitta bassissima, tanto che, mentre sto per andare in bagno poco prima dell’appuntamento, pensierosa, batto una craniata incredibile contro un tubo sul soffitto: bestia che dolore! Mi sento in un film di Massimo Boldi, mentre, seduta per terra a gambe larghe, mi strofino la testa, stordita dalla botta. Cominciamo bene la serata! Meno male che ho battuto proprio sopra la testa e non sulla fronte: andare all’appuntamento con un bernoccolone viola in mezzo alla fronte non sarebbe stato il massimo, anche se qualunque cosa sarebbe stata meglio dell’aspetto che avevo la prima volta che l’ho incontrato.
Mi seggo su uno dei due letti: “Ma cosa ci sto facendo qui?”. L’attesa è snervante, sola in una camera claustrofobica, la testa appoggiata su un cuscino che sa di chiuso e di muffa (come tutti i cuscini cambogiani), che neanche l’espediente di metterci sopra un asciugamano riesce a dissolvere. Provo a iniziare a leggere un libro che ho appena comprato in un negozio dell’usato (Eat, Pray, Love – Mangia, Prega, Ama), ma sono troppo distratta. Da fuori arriva il frastuono dei bar, delle macchine e della gente che passeggia, e all’improvviso mi accorgo che non mi sono mai sentita così sola. La cosa buona della serata è stata che in quel momento ho partorito un’ennesima idea per un libro da scrivere (e sono cinque), per cui mi ritengo già soddisfatta.
Mi vesto, controllo allo specchio che non mi sia formato un bernoccolo in mezzo alla testa, mi trucco (dopo mesi che non mi truccavo), mi pettino (dopo mesi che quasi non mi pettinavo), e giù per le scale. Cammino sola per la Street 172, buia, tra gli sguardi e i richiami dei conduttori di mototaxi. Svolto a sinistra nella via che porta sul lungofiume e, in prossimità dell’FCC, sento squillare il cellulare: è Vesna, puntuale all’appuntamento come un orologio svizzero. Siccome anch’io sono puntuale ma non lo vedo, mi viene il dubbio che temesse non riuscissi a vederlo, data la statura. E invece eccolo lì, raggiante, con una maglietta verde militare, jeans, All Star, piercing diversi da quelli che indossava al nostro primo incontro, niente teschio e un accenno di pizzetto – i cambogiani non hanno quasi barba, lui è un’eccezione (ovviamente il suo non è un pizzetto pieno, direi più un’accozzaglia di peli neri), come tutto ciò che lo riguarda.
Siccome in Cambogia non ci si dà mai la mano né tantomeno ci si bacia, sono pronta a salutarlo con salutare distacco, quando lo vedo porgermi la mano e tirarmi verso di lui per darmi due baci sulla guancia. Ci sediamo sulla terrazza di un locale di fianco all’FCC, su due sgabelli che guardano il fiume. Ordiniamo io un tè freddo al limone, lui un cocktail al passion fruit. Poi cominciamo a parlare, discorrendo di vari argomenti, ma soprattutto sulla società cambogiana. Mi sento molto strana a parlare con lui: è la prima volta che incontro un cambogiano che parla fluentemente l’inglese, che abita da solo e che profuma di pulito, e di un profumo occidentale.
A dire la verità, è la prima volta che ho la possibilità di osservare un ragazzo khmer così da vicino: mentre parla, mi concentro sulla barba rada, sugli occhi allungati, sul colore della pelle, sui capelli (e, visto che ci sono, butto un occhio pure sul mignolo, per scoprire con gioia che non ha l’unghia lunga mezzo metro). Alla faccia della nota timidezza dei ragazzi cambogiani, che spesso non osano manco guardarti negli occhi, noto che il nostro, parlando, mi si avvicina sempre di più, finché non sento la sua mano sulla mia. Oddio, e ora che faccio? Vesna è un khmer atipico, e lo capisco quando, ridendo con lui sul fatto che mi ricordasse un mix tra Tarzan e Tyson, mi ritrovo le sue labbra a un millimetro dalle mie, che mi sussurrano “You could be my Jane”. E sul Jane vengo letteralmente risucchiata dalle sue labbra, morbide come non mai ma assolutamente vigorose, come tutto il suo essere.
Il pensiero che fossimo su una terrazza visti da tutti, in una società in cui anche solo un abbraccio è imbarazzante, non riesce ad arrestare questo vortice di baci appassionati. Solo per un momento un brivido percorre la mia mente, immaginando la foto di me e Vesna sul Cambodia Daily della domenica mattina, dal titolo eloquente: “Volontaria italiana dà scandalo sul Mekong”.
Dopo un’ora siamo già sulla sua moto, non la finta Harley bensì una moto da Enduro, lui con un casco normale e io senza (è la norma, qui), a percorrere il ponte giapponese che attraversa il Tonle Sap, per correre dall’altra parte del fiume. In men che non si dica mi ritrovo in una camera (carina) di un albergo (squallido), sotto gli occhi dei ragazzi alla reception dall’aria annoiata, che porgono al mio accompagnatore una manciata di preservativi. Una manciata? Oh Signore!
Mentre saliamo le scale circondate da mattoni a vista, comincio a sentirmi molto imbarazzata (“ma cosa cavolo ci sto facendo qui?” – parte 2), perché alla fine questo ragazzo lo conosco a malapena, io non sono mai stata una tipa da avventure! Povera me, e adesso come scappo da questa situazione?
Fisicamente è uno schianto: la pelle ambrata e liscia, una bella muscolatura, uno scorpione nero (il suo segno zodiacale) tatuato sulla pancia, un piercing all’ombelico, due tatuaggi colorati a incorniciarne i capezzoli. Il fatto è che, dopo tutto quel tè, ho una voglia tremenda di fare la pipì, che tengo da due ore, ma chi osa dirglielo proprio ora? E fu così che ci unimmo in un atto d’amore, con la vescica piena.
Ovviamente non provo nulla, mentre quell’incrocio tra Tyson e Bruce Lee continua a ripetere “Yes baby, I like you baby, let me taste the Italian food baby”. E sull’Italian food gli scoppio a ridere in faccia. E poi corro in bagno, prima che mi scoppiasse qualcos’altro. Per poi farmi riportare alla mia (umida) guest-house.
Il vento caldo delle notti di Phnom Penh mi accarezza la faccia, gli occhi, i capelli. Sento ancora il suo profumo addosso, un profumo finto che non sentirò mai più. Io non sono fatta per queste cose: io ho bisogno d’amore.
L’indomani mattina mi alzo e decido di farmi un regalo: con quell’avventura – seppur squallida – con l’uomo dal casco di teschio, avevo suggellato la fine, dentro di me, di una relazione lunghissima con un ragazzo, finita mesi prima, a distanza e in malo modo. Mi sono regalata un bellissimo anello d’argento.
Da quel giorno sono tornata libera.
(Il racconto è stato riportato così come lo avevo scritto allora, in un’email mandata alle amiche)
44 Comments
La voglio anche io la fitina con l’uomo dallo scorpione sulla pancia, fa molto Bruca Lee 😉 Ahaha alla fine ti e’ servito più’ una serata con lui che tanti mesi 😉
Ah ah veramente!! 😀
Eli.
Quando esce il tuo libro?!?
Insomma: mi trovo in branda, pronta ad impugnare il libro del momento quando penso: fammi un po’ vedere su facebook se c’è qualche news. Vedo il tuo post, mi ci fiondo… E insomma a metà racconto non pensavo più di avere in mano un iphone e credevo di avere il libro.
Ti adoro! Cuoricini soliti,
Eli
Il fatto che tu ti sia sdraiata pronta a leggere, e poi abbia pensato di dirottarti su Facebook, è una cosa che – ahimè – mi tocca da vicino! Però sono contenta se, stavolta, un mio post ti abbia fatto l’effetto di un racconto su carta. Allora devo proprio cominciarlo, sto libro, prima che riparta di nuovo e addio tranquillità 😉
Beh, forse le scrittrici non sempre se le vanno a cercare le storie da raccontare. A volte capitano e basta. Però il bello delle scrittrici è che (quasi) sempre, quando le raccontano, le storie riescono anche a capirle.
Ed è bello che per te questo incontro casuale con questo tipo particolare sia stato terapeutico 🙂
…e l’hai saputo raccontare benissimo!!
Concordo con te: quelli erano i miei pensieri di anni fa 🙂 Quella avventura era stata terapeutica, ma anche per altre cose: avevo capito ancora una volta ciò che non avrei più voluto vivere.
Decisamente da leggere tutto d’un fiato! E ogni volta che ti leggo percepisco sempre delle similitudini con la mia vita! ahah!! Bellissimo davvero questo post 😀
Grazie Dani!! Io e te, prima o poi, dobbiamo proprio incontrarci di persona 🙂
Sì assolutamente!!!
Dovresti davvero scrivere un libro! Ho letto tutto di un fiato il racconto di questa avventura cambogiana…bellissima!
Grazie Silvia! Sono felice che ti sia piaciuta!
Ma lo sai che su quella piazzola di sosta c’ero anch’io?
Ovviamente no… ma una simile ha fatto vomitare mia madre appena uscota dal bagno mentre cercavo di convincerla a mangoare dei noodles.
Ovviamente non ne è seguito neppure un incontro romantico 🙂
Ok… ora siamo curiosi di sapere delle altre avventure
Povera la tua mamma! Mio padre – debole di stomaco – non verrebbe mai a trovarmi nel Sud-Est Asiatico, credo. Lui è più da resort, e sul cibo è molto schizzinoso. Anzi, ultimamente è solo più da suo orto 😀
Me la vedo tua mamma scappare in moto col casco a forma di teschio in testa!
Le altre avventure? Ometterei quelle omanite, per paura che mi venga emessa una fatwa…
Che storia incredibile! Il tatuaggio sulla pancia mi ha incuriosito da paura! Ma a parte questo… sai che mi piace troppo il tuo modo di raccontare e l’essere così trasparente con noi lettori? 😀
Non è da tutti.. ed è una cosa che io apprezzo molto. Ci fai entrare nella tua vita in un battibaleno!
Adesso, come Andrea, voglio conoscere le altre avventure! :*
Grazie Manu! 😀 L’essere così trasparente comporta però il sudare mentre si scrive, e l’indugiare prima di schiacciare sul tasto “Pubblica”. Poi, alla fine, lo schiaccio sempre: perché questa sono io.
Riguardo alle altre avvenure, non mancherò di riportarle, ma riguardo a quelle omanite ti rimando alla risposta data ad Andrea 😉
Ti seguo da un mese appena, ma i tuoi racconti di vita mi appassionano troppo!!
… questo mi ha catapultato indietro di qualche mese e mi sono ritrovata nella tua storia appieno, soprattutto nella parte “ma cosa cavolo ci sto facendo qui?” 🙂
Grazie per condividere con noi il tuo percorso!
Grazie Miriam, sono contenta di avere una nuova lettrice!
Il “ma cosa cavolo ci sto facendo qui?” è una frase costante di noi viaggiatori solitari, che ci ficchiamo in mille situazioni imbarazzanti, e poi continuiamo a viverle perchè ormai siamo in ballo e balliamo 😉 Un abbraccio!
Mi sono detta “lo leggo stasera”! Ma non ho saputo resistere!!!
Sei fantastica! Mi piace quando scrivi perchè ti apri totalmente e ci permetti di conoscerti ancora di più..
Come è ripensarci a distanza di tanto tempo?! Però è servito a qualcosa, vedi?!
Ci hai incuriosito tutte con questo scorpione 😉
Un abbraccio!!
A ripensarci mi viene solo da ridere!! Ma è una di quelle cose che ho fatto che non ripeterei. Tenendo conto che le cose che non ripeterei si contano sulle dita di una mano, immagina che bella esperienza ho avuto! 😀
Lo scorpione nero era proprio la ciliegina sulla torta dei suoi piercing.
“Yes baby, I like you baby, let me taste the Italian food baby”… grandioso, davvero! Ma tu sei meglio di lui, quindi due volte grandiosa! Grazie Eli per questo divertentissimo post, raccontato con particolari e dettagli che sembra ieri. Sei sicura di essere in Italia?
Sembra ieri perché ho ripreso in mano la mail mandata alle amiche il giorno dopo l’evento! Altrimenti, chi si ricordava più dello scorpione sulla pancia!
“Let me taste the Italian food, baby”, invece, come posso scordarlo?
Sì, sono in Italia, ahimè…
Cara Elisabeth sunday buonasera!
Ho letto con piacevolissime risate; il soffio di naso con pure mani e’ fantastico, e la signora del cesso ha ha. Buon appetito ! ‘ Va gia’ bene che ho gia’ cenato alla meglio. 🙂
La manciata di preservativi…ha ha stavo per invidiare la sua sicurezza virile.
Grande Sunday.
Buonasera Andre! Finalmente! Ogni tanto ritornano i “vecchi” commentatori del blog, evviva!
Sicuramente il tipo aveva sicurezza virile da vendere. Ma poi mi è caduto sull’Italian food, e non l’ho più guardato con gli stessi occhi 😀
Grazie Andre, non sparire di nuovo, tu sei le fondamenta del mio blog!
Sei una storyteller nata! Già ti vedo a scrivere un diario di una sorta di Bridget Jones Viaggiatrice, con lo stesso spassionato humour ma con “insights” gustosi e profondi. E non avevo tempo per dedicarmi alle letture stamani 🙂
Grazie di cuore Roberta, non sai quanto importanti le tue parole siano per me. Un incoraggiamento profondo. Una Bridget Jones Viaggiatrice, non ci avevo pensato, ma in effetti mi riduco sempre a scrivere in quello stile, io 😀
🙂
Letto tutto da un fiato!
L’Italian food si piazza a pari posto con “Can I kiss you?” 🙂
viaaaaaaaaaaaa
Aaah ah ah mi ero dimenticata del tuo “Can I kiss you?” 😀 😀 Li incontriamo tutti noi, la Cambogia è un ginepraio, un ammasso di gente strana. Espatriati e non 😉
Quanto mi piace sentirti raccontare… fai bene a scrivere! Ti auguro di trovare un folto pubblico di lettori, perché te lo meriti. 🙂 (Sulla vescica piena ho avuto un istante di terrore misto a immedesimazione…)
Grazie dell’augurio, Grazia, che mi dà ulteriore coraggio a scrivere. Sulla vescica piena: immagina me!! 😀
Eli grande! Leggendo mi sentivo proprio la giù in Cambodia – più che leggere mi sembrava di vedere un ”film in vivo” Ho riso cosi tanto che le mie colleghe qui al lavoro mi chiedevano che cosa era successo. Baci cara!
Ah ah grazie Mojca! Un film dal vivo, wow! Baci anche a te :*
Eli ti ammiro moltissimo! Molte persone questo tipo di esperienze lo sanno che non siano giuste xké in quanto avventure non hanno sentimento ma nonostante tutto perseguono nell’errore tu invece hai scelto l’amore dunque di portare rispetto a te stessa escludendo questo tipo di esperienze dalla tua vita ovviamente servendoti questa terapia x capirlo meglio. Complimenti xké hai capito cosa non vuoi fare e chi vuoi essere
Grazie Laura! Nonostante si sia consapevoli del fatto che certe avventure possono far stare male, non sempre poi è facile scegliere, dire di no, non seguire la passione del momento. Salvo poi pentirsene la mattina dopo. La vita è fatta di prove ed errori, di ricadute e momenti in cui si riesce a fare solo ciò che ci fa stare bene. L’importante è arrivare a capire cosa non vogliamo più. Il percorso verso la propria serenità comincia da lì.
Direi 10 e lode per onestà e schiettezza. È scritto molto bene, scorrevolissimo. L’unica cosa davvero squallida è che ti sei comprata “Eat, pray, love” 🙂
Dai Dottor Nomade, non essere cattivo con me, ognuno ha i suoi gusti, a me quel libro è piaciuto tanto!! Lo so lo so che a Dottor Nomade non potrà mai piacere! 😀 Sono comunque contenta ti sia piaciuta l’avventura cambogiana, che ricordo ancora oggi con una bella risata.
Scusa, il mio voleva essere un commento positivo: nel senso che non c’è niente di male né nell’esplorare certe esperienze né in quello che descrivi 🙂 Scusa se sono stato brusco… ed è vero che i gusti sono gusti. Ti seguo sempre con affetto!
Grazie Dottor! Non ti devi scusare di niente, io colgo sempre lo humour, forse perché ce l’ho innato io stessa 😀 Anch’io ti seguo sempre!
Ciao Eli! Ti seguo da un po’, anche io ho un blog di viaggi piccolino che spero di evolvere e mi sento ispirata da blog interessanti come il tuo! E’ divertentissima questa tua avventura! E’ vero che a volte dopo una lunga storia finita male capitano poi situazioni particolari, soprattutto in viaggio. E’ successo qualcosa del genere anche a me! Ma anche io pensavo in alcuni momenti: “che ci faccio qui?”. Condivido anche la vescica piena. ahah Ho riso tanto! un abbraccio!
Ciao MaryGrace!
Prima di tutto sono felice di ispirarti, anche se non credo che, con i tuoi talenti, tu abbia bisogno di trarre ispirazione da nessuno 😉
Ma dai, è successo anche a te? La frase “che ci faccio qui” comincio a pensare che accomuni tante donne! (e non solo).
La vescica piena, eh eh!! Un abbraccio anche a te!
Mi ispiri positività, tranquillità e coraggio!! 😀
CHE BELLO!!! 😀
Ho scoperto ieri il tuo blog grazie alla mia coinquilina giramondo che ti segue assiduamente, e purtroppo per me è successo nel bel mezzo della mia sessione di esami… Dico purtroppo per me perché da quando ho iniziato a leggere i tuoi racconti di vita non sono più riuscita a smettere! In 24 ore sei riuscita a farmi sentire un mix esplosivo di emozioni fortissime che mi hanno fatta commuovere, ridere, arrossire e sorridere, ma soprattutto fremere dalla voglia di partire per nuove avventure!
Sei una grande, continua così! Non vedo l’ora di leggere i tuoi nuovi appassionanti racconti di viaggio 🙂
Un abbraccio dalla Svizzera
Ciao Tea!
Ma che bello leggere questo tuo commento! Mi spiace essere planata tra le tue letture nel bel mezzo degli esami, ma almeno ti distraggo un po’, no? 😉
Baci da Torino, in attesa di mandarteli da un luogo un po’ più esotico (pazienta ancora un mese…)