Sono passati quattro mesi da quando dissi ai miei genitori che avevo deciso di ripartire. In realtà non dissi loro che avevo chiesto l’anno sabbatico: l’avevo chiesto a loro insaputa. La decisione doveva essere presa entro il 31 luglio, e io non avevo avuto tempo di prepararli psicologicamente alla splendida notizia. Così, quella mattina partii con la macchina verso la scuola in cui insegnavo, con il foglio di richiesta di un anno sabbatico sul sedile, e senza suonare musica all’autoradio: non ero così sicura di fare la cosa giusta, e così mi ero data ancora quella mezz’ora di silenzio per prendere la decisione definitiva.
Ai miei dissi che sarei andata a scuola per parlare con la segreteria di affari di scuola. Invece stavo andando incontro al mio destino, che era già deciso: se gli diamo la spinta giusta, poi tutto va come doveva andare. Ma solo se seguiamo il nostro istinto, che non sbaglia mai.
Parcheggiai la macchina e mi diressi verso il cancello della scuola. Ormai mancavo da un anno, e guardando il suo cortile e le finestre delle aule con i fiori di carta attaccati ai vetri, mi resi conto che non c’entravo più nulla con quell’ambiente. Anzi, capii che quel posto di ruolo non aveva mai fatto per me. Perchè vivere in una gabbia, anche se trasparente e dorata? Il posto fisso è così: una liberazione per chi lo brama, ma una gabbia per lo spirito libero.
Varcai la soglia della scuola, salutai i bidelli (“Maestra! Come sei luminosa! Come si vede quando una persona nella vita fa ciò che vuole!”) e salii le scale. Il personale della segreteria mi stava aspettando. Entrai e mi chiusi la porta alle spalle: lì capii che, una volta uscita, non sarei più stata la stessa.
Uscii da quel cancello tutta sudata, con una decina di rughe in meno e una voglia pazza di saltare e gridare: è fatta! Ero libera. Ancora per un anno, lo so, ma ero libera. Niente più sveglia alle sette col muso lungo e la gastrite. Via. Si riparte.
Due settimane prima della partenza, i miei genitori erano ancora lì beati, illusi che la loro figliola di lì a un mese avrebbe ripreso a fare la brava maestra di inglese. Dovevo dirglielo. Possibile che una che aveva visitato l’Iran da sola, affrontato la peggior Cina e la migliore solitudine, ora temesse come la peste il giudizio dei suoi genitori? Sì, è possibile: il retaggio familiare è peggio della tela di un ragno, staccarsene è difficile, tagliare il cordone ombelicale è un’operazione dolorosa che però va fatta.
Il pugile Muhammad Ali, alias Cassius Clay, aveva detto bene: “Non smettere. Soffri ora e vivi il resto della tua vita come un campione“. Non volevo essere una campionessa se non della mia felicità, per cui accettavo questa sofferenza sperando portasse, un giorno, a qualcosa. Ogni volta che stavo per dire ai miei genitori la verità, li vedevo lì a tavola, sorridenti e felici, e i sensi di colpa si impadronivano di me e ciao rivelazione. Ma le madri, si sa, sono dotate di un sesto senso pressochè infallibile, almeno la mia. Quindi una mattina, mentre stava caricando la lavatrice, si voltò di scatto e mi disse: “Tu stai per ripartire per l’Oman, vero?”. Ecco: almeno l’aveva detto lei. “Quando?”. “Tra dieci giorni”. “Allora vedi di dirlo a tuo padre”.
E fu così che la settimana seguente eravamo tutti felici in vacanza una settimana in Liguria, con mio padre da una parte che sprizzava felicità da tutti i pori (sprizza sempre felicità da tutti i pori, quando è al mare) e io dall’altra con la lingua legata che non riuscivo a dargli l’ennesima delusione. Perchè sicuramente lui era beato perchè mi immaginava di nuovo ingabbiata nella vita che lui voleva per me: il posto di ruolo; l’appartamento a dieci minuti a piedi da casa loro; un fidanzato rispettabile che loro adoravano. Mancavano un giorno alla mia partenza per Torino in treno, e sei alla mia dipartita per l’Oman. Avevamo finito di pranzare e stavo sparecchiando la tavola, quando mia madre si volta verso mio padre e gli dice con nonchalance, in piemontese, “Tu lo sai che tua figlia riparte di nuovo per l’Oman, vero?”. E lui stavolta, senza perdere la sua aria di beatitudine, ha risposto: “Sì, lo immaginavo. L’importante è che adesso trovi un lavoro che ne valga la pena”.
Ecco cosa succede quando uno si fa coraggio e comincia a inseguire i propri sogni:
Seguirà un periodo (lungo) in cui tutti intorno a voi saranno sconvolti dalla vostra decisione di cominciare una nuova vita, in cui magari vi toglieranno la parola per mesi, in cui vi copriranno di brutte parole, per la rabbia di non ascoltare i loro saggi consigli di non lasciare il sicuro per l’insicuro; ecco, durante questo periodo voi terrete duro e non mollerete, perchè una volta fatto il primo passo, diventerete più sicuri di voi stessi; durante il percorso non sarete mai tornati sui vostri passi perchè magari non avrete ancora trovato uno straccio di lavoro decente, e soffrirete la solitudine e avrete ancora paura di non farcela, ma sarete comunque felici di essere liberi, e non avrete più disturbi psicosomatici nè la depressione cronica che vi assale di giorno e di notte. E un giorno, come per incanto, i vostri familiari capiranno la vostra scelta. La accetteranno (facendovelo pesare, è ovvio), perchè vedranno che non sarete più corruttibili; che non potranno più farvi cambiare idea; perchè i vostri occhi saranno così luminosi che anche loro, pian piano, ne verranno contagiati.
Non perdete più tempo dietro a ciò che gli altri pensano di voi: impiegate le vostre energie per non deludere le vostre, di aspettative. Fate quel primo passo verso la libertà che tanto vi spaventa: sarete voi a convincere gli altri con la vostra convinzione. La libertà ha un prezzo: pagatelo, e smettetela di dare la colpa a quelli che vi frenano. Ragionare senza condizionamenti è una cosa che si impara col tempo, ma solo dopo aver aperto la porta della vostra gabbia d’oro. La chiave l’avete voi: usatela.
It takes courage to be different. But the rewards can be great.
Ci vuole coraggio per essere diversi. Ma la ricompensa può essere grande.
(Mark Hermann, music producer)
photo by: kurosama-76
14 Comments
Eli.. <3 ti abbraccio
Abbraccio ampiamente ricambiato! 😀
Sei un Inno alla Libertà, un Gabbiano Jonhatan Livingston.
GRAZIE.
… e pensare che ho proprio un gabbiano tatuato sul braccio. Grazie a te!
Grazie Eli, mentre leggevo le tue parole mi hai emozionata; parole sagge e vere. Un abbraccio!
Ciao Sonja! Ho saputo che anche tu sei volata verso altri lidi: brava! Nuova aria, nuova vita. Guarda che ripenso spesso a quando ero in Cina, e le tue email che parlavano di cavalli liberi nella prateria mi aiutavano a sopportare l’esperienza cinese. Un forte abbraccio anche a te!
un abbraccio!
Come sempre infondi gioia di vivere Ely, e tanto tanto coraggio! <3
Ah beh, certo. Facile mollare tutto quando hai il “posto fisso” che ti permette di prendere ben il terzo “anno sabbatico”. Quando non hai il problema di come fare a mantenerti e sai che comunque hai il c**o parato se decidi di tornare a casa tua perchè appunto, anche se te ne sei andata, hai pur sempre un posto dove tornare. Facile fare l’avventuriera e la viaggiatrice, in questo modo. Se una persona arriva a malapena alla fine del mese, non può minimamente immaginare di trasferirsi perchè non ha nulla su cui poter contare economicamente per vivere mentre cerca lavoro da un’ altra parte. Internet è piena zeppa di persone come te, che dispensano consigli sulla base delle loro fortunate esperienze, ma bisogna essere concreti e senza soldi non si va da nessuna parte.
Buongiorno Laura, è sempre interessante leggere pareri diversi sulle esperienze di vita, proprie e altrui, e le reazioni che queste scatenano: permettono – in questo caso a me – di fermarsi e riflettere.
Io ho ancora il posto fisso, ma è ovvio che non percepisco più alcuno stipendio dal primo giorno in cui chiesi l’anno di aspettativa, nel luglio 2012, così come quando feci volontariato nel 2010: stipendio bloccato, carriera bloccata e nessun contributo pensionistico. Lo stipendio che percepivo in Italia era il minimo che un’insegnante di scuola primaria possa percepire, essendo entrata di ruolo solo nel 2007, ma ho cercato di risparmiare in tutti i modi possibili, in modo da potermi mantenere durante i primi mesi all’estero, quando avrei cercato un lavoro. Partii infatti senza alcun lavoro che mi aspettasse oltreoceano, solo con i miei sogni e qualche risparmio. Da allora ho passato alti e bassi, momenti in cui contavo quanti soldi avessi ancora sul mio conto e quindi quanto avrei ancora potuto permettermi di stare in giro prima di tornare a casa con la coda tra le gambe (pochi mesi). Nessuno mi ha mai mantenuta mentre ero in giro, e questo ovviamente è stato una fonte di stress ma anche ciò che mi ha dato la forza di cercare. Quando ero in Cina avrei potuto cominciare una carriera da insegnante di inglese anche là, ma vi ho rinunciato perchè non era ciò che volevo: fare di nuovo la maestra. E soldi ne avevo pochi, ma la speranza di trovare ciò che cercavo era tanta e così ho avuto fiducia. Poichè non trovavo nulla, ho pensato di fare un paio di cose, in Myanmar e Thailandia, che avrei sempre desiderato (un corso di meditazione – gratuito – e qualche settimana in un resort ai tropici), per poi tornarmene all’odiato posto fisso. Ho avuto la fortuna di venire a trovare casualmente un’amica che lavorava in Oman, e poi ho fatto di tutto per cercare qualcosa. E da lassù Qualcuno mi ha aiutata. A settembre sono ripartita, stavolta con un anno sabbatico (si chiama così per legge), ma soldi ne avevo (ho) ancora ben pochi. Sto cercando di pensare a qualcosa da fare per conto mio, sto lavoricchiando cercando di costruirmi un futuro. Basi sicure non ne ho, la pensione non la vedrò mai, ma sono caparbia e vorrei cercare di essere felice, in questa vita, poichè breve e una sola.
In questo mio blog racconto le mie impressioni e paure, e dove cercare la forza per partire, rispondendo alle tante email che ricevo da persone che sono ferme al punto in cui ero io prima di decidermi ad andare via. Scrivo perchè adoro scrivere. Certo, se volessi tornare avrò – fino al prossimo anno – ancora il mio posto fisso ad aspettarmi, e so di essere fortunata per questo. Ma da quando sono in aspettativa, il problema di arrivare a fine mese e mangiare e pagare l’affitto dell’appartamento (una stanza con bagno) ce l’ho eccome. Se (almeno fino ad oggi) la mia esperienza è stata fortunata è solamente perchè l’ho voluta con tutte le mie forze.
Grazie Laura perchè mi hai dato l’opportunità di ripensare, e proprio a fine anno, da dove sono partita e dove sono oggi. E anche alla fortuna di avere ancora un posto fisso in Italia, cosa che spesso dimentico.
Ho letto questo post e mi sono un po’ commossa perchè conosco bene tutte queste sensazioni… Paura di affrontare i tuoi, il panico di contarsi i soldi in tasca, il futuro che è un grande boh. E poi guardo le mie foto in viaggio e quel sorriso ripaga tutto.
Ho lasciato il lavoro, ho lasciato una bella casa, ho dipinto sulla faccia di mia madre la maschera del terrore per sapermi da sola in giro per l’Asia. E l’ho fatto perchè volevo essere felice, o almeno provarci.
Laura, a leggere quello che hai scritto mi hai fatto venire in mente quello che mi ha detto una ragazza conosciuta a Shanghai, che per me è stato una specie di mantra. “Mi fanno incazzare le persone che dicono “ah se avessi potuto..” Io no potevo e l’ho fatto. Quando vuoi una cosa, il modo lo trovi”.
Io non potevo e l’ho fatto. E non c’era miglior strada da scegliere. Le rinunce sono tante, ma se hai “eyes on prize”.. Beh, non ti pesano.
L’importante è realizzare quello che vuoi! Ti auguro di capirlo… E di sprizzare gioia come lei in questo post.
Grazie Paola: sono felice di sentire che ci sono donne coraggiose come te che hanno fatto questo salto, pur “non potendo”. Sono d’esempio per chi ha paura di farlo, e quindi teme i sacrifici cui andrà incontro. Ma la libertà non ha prezzo.
Sei un’ispirazione… grazie
Grazie Anna!