Un anno fa ieri, dopo che la notte avevo visto all’improvviso un lampo di luce davanti al suo letto mentre tenevo la sua mano nella mia, mio padre fece un lungo, ultimo respiro, affidandosi poi a un angelo che lo accompagnò verso la luce che lo stava aspettando.
Pochi giorni fa l’ho sognato; aveva un sorriso angelico e pieno di luce. Non c’era nulla attorno a lui. Era felice. Quando ho aperto gli occhi, la sensazione come se qualcuno di fosse alzato dal bordo del mio letto, e sul materasso una piccola conca come se ci fosse stato seduto qualcuno.
A volte vengono a darci dei messaggi; i sensibili li possono cogliere. Una luce accesa; un aroma improvviso di fiori che invade la stanza; un profumo di torta; un fiore per terra; un sogno che è più un’apparizione.
Bisogna lasciarli andare
Gli avevo detto: “Grazie papà per tutto ciò che hai fatto per noi.” Quando sono ormai tra la vita e la morte, aspettano un cenno da parte nostra. Perché loro sono pronti, siamo noi che non lo siamo.
Lui stava aspettando solo quelle parole, e dopo pochi minuti si è lasciato portare via, abbandonandosi completamente a ciò che sta in alto. Noi, in basso, rimaniamo a completare la nostra vita terrena, con un dolore in più, come se ci avessero amputato una gamba, un braccio, un piede. La vita è più dura senza un arto, si fa fatica a ricominciare a camminare, il terreno diventa incerto, le scale traballano, il pavimento scricchiola. Non c’è bastone che ci possa sostenere, sono tutti o troppo lunghi, o troppo corti, o troppo sottili.
Lessi di un gerontologo che, al capezzale di un’anziana donna, le disse con l’entusiasmo di una cheerleader: “Dai, Margaret, ce la puoi fare!”.
Io so che le anime vanno in Purgatorio. Se c’è pentimento prima di morire, si passa di là per un periodo di tempo determinato da ciò che abbiamo fatto in vita. E’ uno stato mentale, un fuoco che purifica e fa da passaggio inevitabile allo stadio superiore.
Anche chi resta passa dal Purgatorio, ma, per loro, è anche uno stato fisico.
Quando mio padre lasciò il suo corpo fisico, fu come se un macigno lasciò il mio. Avevo lottato con lui – e con me, mia madre e mia sorella – per sei mesi. In realtà la lotta era durata solamente qualche mese: avevamo provato tutte le strade possibili affinché il suo male potesse essere sconfitto; ma quando vidi che non sortivano l’effetto sperato, capii che eravamo noi che lo volevamo disperatamente aggrappato alla vita. La sua anima aveva già scelto il momento per andare, il suo viaggio con noi si stava concludendo e il momento più bello lo stava aspettando.
Se stessimo per partire e se ci attardassimo perderemmo l’aereo, non ci arrabbieremmo forse con chi ci trattiene e ci fa perdere tempo? Così l’anima di chi sta per avventurarsi in un nuovo viaggio: non ha voglia di tergiversare ancora in faccende terrene, e così non reagisce alle cure. “Lasciatemi andare!”, sembra dirci.
Lasciandoli andare, liberiamo loro ma anche noi stessi. L’attesa logora, le aspettative sono un tarlo nascosto che mangia la polpa con lentezza finché non rimane nulla.
Chi muore ha bisogno di aria
La scorsa settimana lessi un brano che mi colpì: “I grandi personaggi che sono capaci di grandi amori, avete fatto caso che muoiono sempre di tubercolosi o di qualcosa collegato ai polmoni? Vuol dire che lo spirito ha bisogno d’aria. Lo spirito non riesce a respirare. Il corpo perde la corporeità con malattie del genere. L’essere diventa pallido, dimagrisce, diventa aria e spirito.” (Ornela Vorpsi, Il paese dove non si muore mai).
Perché trattenerli?
Mio papà aveva un tumore ai polmoni. Solo oggi capisco che la sua vita, vissuta con grande passione per la politica – contadino di nascita, fece una grande carriera inseguendo le sue passioni, sempre elegante e tutto d’un pezzo -, doveva però in qualche modo averlo soffocato. Dev’esserci stato qualcosa che lo bloccava nell’essere pienamente libero.
Se tu vedessi qualcuno in corsa verso la libertà, cercheresti di frenarlo o lo lasceresti andare?
Tutto è impermanente.
La vera natura delle cose è che tutto cambia, non c’è nulla di vivente che non cambierà. Viviamo con l’ansia di controllare tutto ciò che ci accade, in un anelito verso il “per sempre”. Non insegniamo ai nostri bambini che tutto ha un inizio e una fine: le stagioni nascono e muoiono, un albero nasce e perisce, un gatto, gli uccellini, anche l’erba prima o poi secca. E che dire di un tramonto? Tutto viene e va, come il respiro. Non puoi avere una cosa senza l’altra.
Viviamo negando l’esistenza della morte. Come scrive la monaca buddhista Robina Courtin, “Pensiamo di soffrire perché la persona è morta. Non è vero. Soffriamo – e questo è il pensiero del Buddha – perché nella nostra mente, nella nostra fantasia quella persona non doveva morire. In altre parole, non guardiamo in faccia la realtà. Non guardiamo le cose come veramente sono. Viviamo negando le cose. Non solo non le vediamo come veramente sono, ma imponiamo le nostre fantasie su di esse.”
Quando un nostro caro (o un animale) sta per morire, guardiamo in faccia la realtà, ricordiamoci che è un fenomeno del tutto naturale. Come la vita. “E’ morto. Anch’io morirò un giorno.” Ricordandoci che moriremo anche noi, un giorno, possiamo approfittarne per fare il punto della situazione:
- Dove sono con la mia vita in questo momento?
- Sono felice di ciò che ho fatto finora?
- Mi manca ancora qualcosa da realizzare? Se sì, che cosa? E cosa posso fare per realizzarlo?
L’ora della nostra morte non è certa, e la cosa più importante è l’aver amato e fatto del bene durante la nostra vita.
La morte è solo una transizione: arriviamoci preparati. Come se ci preparassimo per il nostro matrimonio, facciamo in modo di arrivare a quel giorno in modo che la morte ci colga nel modo più naturale possibile, non nella disperazione. Se ci pensiamo, chi si ammala è più fortunato di chi muore all’improvviso, perché ha ancora tempo per fare delle cose, per realizzare un sogno, per prepararsi.
Come superare il dolore del lutto e ricominciare a vivere
Il giorno in cui mio papà esalò l’ultimo respiro iniziò per me un secondo calvario. Il mio corpo divenne fiacco e cedevole come mille corpi che cedono. Tutte le energie che avevo messo nello stargli accanto in quel suo ultimo tratto di strada mi lasciarono, cedendo il posto a un attacco di panico continuo che durò un paio di mesi. Non che il cuore mi battesse forte e mi sentissi soffocare, come nei classici attacchi di panico. Semplicemente non avevo più la forza per reggermi in piedi. Trascorsi così gran parte dell’estate a letto, guardando il soffitto. Mi alzavo per mangiare, poi tornavo a sdraiarmi. Non scrivevo. Non ne parlavo. Leggevo, dormivo e pensavo.
Il modo migliore per affrontare la perdita di una persona a noi cara è ascoltare il proprio corpo. Se ci dice di dormire, dormiamo. Se ci dice di fare sport, facciamolo. Se ci dice di guardare il soffitto, distendiamoci – sul letto, su un prato – e lasciamo che sia. Prima dobbiamo accettare la perdita, darle il permesso di pervaderci, senza paura delle conseguenze. Poi verrà il tempo per lasciarla andare.
Come scrive Massimo Gramellini, “Devi accettare l’inaccettabile: che quello che hai perduto non tornerà mai più.” Quello che non sappiamo è che
Il dolore prima ci travolge, poi ci trasforma. In meglio o in peggio, quello lo decidiamo noi. Possiamo infatti optare per rimanere insabbiati, oppure rivedere la luce. La morte di una persona cara è come la fine di una relazione amorosa: si deve toccare il fondo prima di risalire. Si deve piangere. Il dolore deve uscire prima di trasformarsi in un nuovo amore. Nel caso del lutto, in un nuovo amore per la vita.
Il monaco buddhista nepalese Lama Zopa Rinpoche scrive: “Considerare benvenute le situazioni difficili è una delle pratiche più potenti della trasformazione del pensiero.”
Sprecare la lezione che la morte ci offre significa gettare dalla finestra una grande opportunità, perché è proprio la morte che ci aiuta a vedere la vita in maniera più chiara.
“Osservare coloro che combattono una malattia ci aiuta a capire che per vedere realmente chi siamo occorre cambiare tutto ciò che non è autenticamente noi. Quando guardiamo una persona che sta per morire, non vediamo più le sue colpe, i suoi errori, o le malattie su cui ci si focalizzava prima. In quel momento guardiamo solo loro, perché alla fine della vita diventano più genuini, più onesti, più loro stessi – proprio come i bambini o i neonati.” (Elizabeth Kubler-Ross e David Kessler, “Life lessons”).
La morte di mio padre mi ha insegnato che non potevo più rimandare: dopo due mesi distesa sul letto, capii che avrei dovuto mettere nel mio zaino i suoi insegnamenti – anche i rimbrotti, le arrabbiature, i musi lunghi – , e ripartire. Anche se il terreno ancora mi tremava sotto i piedi, ed ero senza un arto.
Quell’arto amputato era in realtà ciò che avevo messo nella valigia: il suo sorriso ad accogliermi quando tornavo a casa ogni volta che un viaggio terminava, a indicare che, se insegui le tue passioni e ciò che veramente sei, non puoi che essere sulla strada giusta.
Letture consigliate:
Life Lessons – Two experts on Death & Dying Teach Us About The Mysteries of Life & Living, Elizabeth Kubler-Ross e David Kessler
La morte e la vita dopo la morte “Morire è come nascere”, Elizabeth Kubler-Ross
La morte e il morire, Elizabeth Kubler-Ross
Impara a vivere, impara a morire, Elizabeth Kubler-Ross
On Grief and Grieving: finding the meaning of grief through the five stages of loss, Elizabeth Kubler-Ross e David Kessler
Tornati dall’aldilà, Antonio Socci
Advice for future corpses (and those who live with them), Sallie Tisdale
Se il mondo ti crolla addosso, Pema Chodron
How to help our loved ones enjoy death and go happily to their next rebirth, A Handbook by Lama Zopa Rinpoche – Scaricalo gratuitamente qui
9 Comments
Ciao Ely!
Bellissimo il tuo post!!! Grazie!!!
È giá passato un anno …il mio se ne è andato l’anno prima, come sai!
Col tempo le cose cambiano e in un certo senso si aggiustano, anche se a me capitano ancora momenti in cui mi chiedo perchè …magari un giorno troveró la risposta.
La mia reazione (e quella di mia mamma) fu invece l’opposto! Nelle 3 settimane che rimasi in Italia con lei non riuscimmo a fermarci un secondo. Avevamo bisogno di fare, muoversi, sistemare, … probabilmente per sfogare e tirare fuori l’angoscia che avevamo dentro. …non siamo brave a lasciar andare quello che abbiamo dentro piangendo o parlando …dobbiamo stancarci fisicamente!!
Tornare al lavoro poi fu quasi un aiuto, così avevo la mente occupata da altri pensieri, mentre piano piano recuperavo stabilitá emotiva e mentale.
Un abbraccio grande!!
Grazie Laura!
Sì, ricordo di quando anche tuo papà andò in cielo, o comunque nel suo logo di pace.
E’ interessante leggere delle varie reazioni che le persone hanno al lutto e al dolore. Io e mia mamma invece restammo come paralizzate per un bel po’. Io mi ero licenziata a gennaio per cui non avevo un lavoro a cui tornare, ma poi il destino mi ha rimessa in moto a dicembre. E’ vero che lavorare aiuta a distrarsi e non stare concentrati sulla sofferenza che si prova, io però non so se ci sarei riuscita, l’attacco di panico mi aveva tolto completamente le forze, forse perché nei sei mesi precedenti avevo dato davvero tutta me stessa, mentalmente e fisicamente – ma è l’energia mentale ciò che sfianca.
Un abbraccio grande anche a te Laura!
Un articolo pieno di spunti utili per la vita, che condivido volentieri. Sono felice di sentire che sei sempre in cammino. 🙂
Ciao Grazia, grazie di cuore e spero che ti stia bene! Ti abbraccio 🙂
Bene, sì, grazie. Ricambio l’abbraccio! 🙂
Questo tuo post è bellissimo e commovente. Nella mia vita sono stata fortunata e ho dovuto lasciare andare pochissime persone care. Lasciare andare è un grande insegnamento, ma richiede molta più forza di volontà e accettazione che trattenere. Grazie per questo insegnamento.
Grazie Paola! Anche io ne ho perse pochissime, ma questa è stata quella traumatica, e della svolta. Ti abbraccio!
Cara Eli, in quella bellissima foto in cui abbracci tuo papà si vede che gli assomigli tantissimo!
Anche io sono un’insegnante d’inglese e, quando ho perso mia mamma, i miei allievi mi hanno sostenuta riempiendo la chiesa il giorno del suo funerale e poi mi hanno abbracciata uno a uno. Non credevo fosse possibile ma pochi giorni dopo sono tornata al lavoro ed è stata l’unica cosa che mi ha fatto andare avanti. Il fondo l’ho toccato tempo dopo, all’inizio ero come anestetizzata. Le reazioni a certi eventi sono proprio individuali…un bacio.Damiana
Ciao Damiana,
grazie!
Gli alunni sono davvero una manna dal cielo durante certe situazioni, ricordo mattine in cui andavo a scuola di cattivo umore, e poi i bambini mi riempivano di gioia con la loro spontaneità e allegria. Anch’io toccai il fondo tempo dopo, credo di risalire appena adesso, dopo più di un anno.
Un abbraccio!